Alle origini della bandiera valdostana
Mauro Caniggia Nicolotti • 21 aprile 2022
Alle origini della bandiera valdostana
La bandiera valdostana, è noto, presenta due colori: il nero e il rosso, come stabilito da un’apposita legge che la riconosce.(1)
Per la precisione, e anche questo è oramai assodato da tempo, tali colori hanno origini ben specifiche.(2)
Il nero, infatti, è mutuato da quello appartenente al campo dello stemma dell’antico Ducato di Aosta(3)
su cui, inoltre, campeggia un leone d’argento;(4)
blasone in uso fin dal Cinquecento(5)
ed oggi adottato anche per rappresentare la Regione Autonoma della Valle d’Aosta.
Per quanto riguarda il rosso, invece, bisogna rifarsi ad una idea del canonico Joseph Bréan (1910-1953). Questi, probabilmente nel 1941,(6)
si accorse che dallo stemma della città di Aosta - simile a quello ducale, ma sormontato da quello gentilizio sabaudo - privato sia del leone, sia della croce bianca dei Savoia, semplificava nei colori rosso e nero.(7)
Il religioso, allora, utilizzò questi ultimi per confezionare parte della copertina del suo volumetto(8)
I grandi valdostani
che andò in stampa il 30 marzo 1942: due strisce orizzontali, infatti, una che corre in alto e l’altra che sfila in basso, incorniciano una foto della statua di Sant’Anselmo;(9)
quella superiore alterna al rosso il nero, inversamente fa il nastro posto in fondo.
Quelle orlature, che dovevano servire a evocare la valdostanità dei grandi personaggi da lui censiti, dovette ispirare qualcuno...
Presto, infatti, la Resistenza decise di adottare quei colori e, come ricordò Vincent Trèves, la prima bandiera valdostana bicolore fu issata intorno al 20 agosto 1944 alla frontiera con la Svizzera.(10)
Non a caso, quando il giornalista Merry Bromberger, inviato speciale in Valle d’Aosta del periodico francese Combat, ebbe modo di incontrare in alta montagna un gruppo di partigiani notò che essi, Guides du Cervin ou mineurs évadés des galeries de Cogne, ils portent presque tous sur leur anorak ou simplement sur leur veston trempé de neige et d’eau, l’écusson rouge et noir des autonomistes du Val d’Aoste qui réclament le rattachement de leur pays à la France.(11)
La questione del vessillo valdostano - sia simbolica, sia coloristica - diventò quindi di dominio pubblico e, ça va sans dire, sollevò diverse curiosità.
Il 1° dicembre 1944, infatti, dalle pagine del giornale parigino degli emigrati valdostani, La Vallée d’Aoste, qualcuno si chiese: Quelle est la couleur du drapeau valdôtain?
M. Bromberger dans ses intéressants articles de “Combat” nous relate que nos maquisards valdôtains ont adopté un écusson noir et rouge (stendhaliens sans le savoir) comme emblème du drapeau valdôtain.
Quelles sont les raisons historiques de ce choix? Nous l’ignorons.
Il parait cependant qu’il peut y avoir d’autres couleurs valdôtaines. En effet, si nous ne nous abusons, l’Union Valdôtaine de Genève s’est donné un drapeau aussi à deux couleurs, mais vert et rouge.(12)
Quelles couleurs a-t-on eues dans l’ancien temps? Nous avons posé cette question à des experts en histoire et nous attendons la réponse.
Quest’ultima, a quanto pare, non tardò ad arrivare e fu pubblicata dallo stesso giornale il 13 gennaio 1945: sostanzialmente s’incentrava sull’ispirazione all’antico scudo ducale; ma... Mais reste la question du drapeau, sa forme et, sa composition.
Secondo il parere di un sacerdote valdostano della zona di Lione - sosteneva il foglio - i colori valdostani erano de sable en chef et de guele le reste, posées horizontalement, quindi nero e rosso disposti in senso orizzontale. Toutefois
- concludeva il giornale - dans les écussons des maquisards, les couleurs sont verticales, un pétit détail qu’on pourrait demander à des compétents d'élucider. Probabilmente, i partigiani, come detto, s’ispiravano ai colori usati nelle bande della copertina del libro di Bréan.
Comunque sia, la bandiera fu subito utilizzata in numerosi momenti legati a quei mesi difficili e di passaggio.(13)
Nei giorni della Liberazione, infatti, un articolo si esprimeva in questi termini:
C’était beau de voir flotter, côte à côte, d’une fenêtre de la maison communale, dans les vallées qui étaient, l’été dernier, aux mains des maquisards, le tricolore blanc rouge et vert et le drapeau rouge et noir, insigne particulier du maquis valdôtain; c’était beau de voir, sur la poitrine de nos maquisards, l’écusson rouge et noir surmonté ou traversé par un ruban blanc rouge et vert. Ainsi, Valdôtains et non Valdôtains de naissance luttaient, fraternellement, dans les mêmes formations, sous les mêmes chefs, tous unis par un seul mot d’ordre - Italie et Vallée d’Aoste -, tous animés par une seule volonté, la volonté de reconstruire une Italie et, partant, une Vallée d’Aoste libres.(14)
Nelle foto delle manifestazioni di quegli anni di fine guerra si notano bandiere a strisce orizzontali che riportano il rosso a volte sopra, altre sotto; successivamente le bande diventeranno verticali e, finalmente, con il colore nero dalla parte dell’asta.
Una piccola nota di... colore: in occasione del Natale 1945 il giornale La Vallée d’Aoste, come idea per una strenna natalizia, suggeriva di regalare uno stemma valdostano (“simbolo di poesia e di ideali”): A chaque corsage valdôtain et à chaque veston valdôtain... un écusson valdôtain.(15)
(1) L’articolo 5 della legge regionale valdostana del 16 marzo 2006, n. 6 recita: La bandiera della Regione è formata da un drappo di forma rettangolare, alto due terzi della sua lunghezza, suddiviso verticalmente in due sezioni uguali di colore nero e rosso, con il nero aderente all’inferitura. (2) Si tenga presente, inoltre, che tali colori sono presenti anche nello stemma della potente famiglia Challant. (3) Edoardo di Savoia detto il Liberale (1284-1329) fu il primo a intitolarsi la qualifica di duca d'Aosta. (1323-1329). (4) La Vallée d’Aoste, 13 gennaio 1945. (5) Il leone valdostano è presente sull’insegna del Duca Emanuele Filiberto di Savoia (1559-1580). (6) Il libro, di cui si tratta nelle righe che seguono, ottenne il ringraziamento del Papa con lettera datata 26 aprile 1941. (7) Fonte: Gli stemmi della Regione e dei Comuni della Valle d’Aosta: https://www.regione.vda.it/autonomia_istituzioni/Simboli_Regione/Bandiera/bandiera_i.aspx
(8) L’autore, nella prefazione, lo definisce lavoruccio, p. 5. (9) La statua si trova ad Aosta in via Xavier de Maistre. (10) Nel suo libro “Entre l’histoire et la vie”, Vincent Trèves ricorda che la prima volta, per quanto ci è dato conoscere, in cui la neonata bandiera valdostana, cucita da alcune donne di Valtournenche, fu innalzata su un pennone, fu verso il 20 agosto 1944, al posto di frontiera con la Svizzera della Tête Grise, durante le operazioni di guerriglia della 101 brigata “Marmore”, comandata dal partigiano Tito (Celestino Perron). «Tandis que nous nous rangions en cercle, derrière le peloton de nos hommes, alignés au pied du mât - scrive Trèves - le commandant suisse rentra dans sa caserne pour en ressortir aussitôt, suivi de ses gendarmes, armes à la main. Tito donna l’ordre d’hisser le drapeau valdôtain. Nos hommes présentèrent leurs armes, alors qu’à nouveau s’élevait le chant de Montagnes valdôtaines accompagné de coups de salve tirés en l’air. La solennité du moment m’émut au point que des larmes coulèrent sur mes joues. Le drapeau montait lentement le long du mât. A notre grand étonnement, nous avons entendu: “Garde à vous”. Nous avons vu les Suisses, au pied de leur mât, en train de présenter aussi les armes alors que le drapeau suisse se baissait pour remonter avec le nôtre en signe de salut».
Fonte: vedi
nota 6.
(11) Combat, 10 novembre 1944. (12) Le président, M. Victor Malluquin, en recevant le drapeau, coquette bannière présentée par Madame Grange, (escortée de demoiselles aux écharpes rouges et vertes) a remercié vivement les dames pour leur amabilité, car, cette bannière, chef d’œuvre de broderie, où brille l’écusson valdôtain, dans l’or et les couleurs du pays. Tale bandiera fu inaugurata il 21 agosto 1904 dalla Société de Secours Mutuels L’Union Valdôtaine de Genève; Le Mont-Blanc, 23 settembre 1904. (13) Le Val d’Aoste libre, 1° giugno 1945. (14) La Vallée d’Aoste, 21 aprile 1945. (15) Edizione del 29 dicembre 1945.
Immagine di copertina tratta dal giornale Combat
del 12 novembre 1944.


Prossima fermata ! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana . Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parzial i, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 7 – Piazza Roncas, piazza d’acqua C’è uno spazio di Aosta che sembra aver dimenticato la propria anima. È Piazza Roncas , oggi spoglia e silenziosa. Eppure, proprio qui — dove il vuoto urbano è più evidente — scorrono sotto i nostri passi alcune tra le tracce più emblematiche della storia cittadina. Non tutti lo sanno, ma sotto la piazza si celano i resti del bastione romano della Porta Principalis Sinistra, l’ingresso nord di Augusta Praetoria Salassorum. Davanti all’attuale ingresso del museo, un perimetro rettangolare in pietre diverse indica oggi il punto in cui svettava una delle torri della porta, un tempo utilizzata sia per l’accesso che come parte del sistema idrico romano. Proprio lungo quel profilo, infatti, si affacciava il castellum aquae : una condotta di distribuzione dell’acqua, incardinata nella torre e collegata a una rete di tubature in piombo che alimentavano fontane, bagni pubblici e privati. Un sistema concepito per regolare pressione e flusso con rigore ingegneristico. Una piazza dell’acqua La nuova identità di Piazza Roncas potrebbe fondarsi proprio su questo elemento vitale — l’ acqua — e su ciò che ancora oggi sostiene e racconta: Il canale de la Ville (una diramazione della Mère des Rives ), che scorre da est verso ovest e lambisce il lato nord della piazza, alimenta una ruota idraulica moderna , inserita qualche anno fa, probabilmente come omaggio alla memoria dei mulini che un tempo punteggiavano il tracciato dell’acqua. Il lavatoio storico , che precede la ruota, dovrebbe essere restaurato e integrato come segno vivo della memoria collettiva. Tutta la pavimentazione potrebbe essere ripensata con attenzione, mantenendo e valorizzando la traccia della torre romana, suggerendo a chi cammina la presenza del tempo. Una nuova fontana (e non l’attuale “tombana”, come la chiama qualcuno) potrebbe dialogare con la ruota, evocando il fluire dell’acqua. Una struttura minimale e leggera — in pietra, vetro e legno — potrebbe ospitare testi e pannelli narrativi sulla storia dell’acqua relativa ad Aosta . La piazza potrebbe vantare un verde importante e integrato: alberi slanciati, aiuole eleganti, piante, inserite con cura tra pietra e architettura. Sedute eleganti, in legno e ferro, dalle forme morbide: pensate per la contemplazione, il racconto, la convivialità. Si potrebbe pensare a un piccolo anfiteatro , zona d’incontro soprattutto per i giovani, dove organizzare piccoli eventi culturali, anche estemporanei. E forse, una statua : un’opera contemporanea, realizzata da un artista valdostano, potrebbe diventare simbolo silenzioso del legame tra acqua, storia e comunità. Nel fluire dell’acqua, Piazza Roncas può ritrovare la sua voce. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 6 – La zona dell’ospedale di Aosta Tra viale Ginevra, via Guédoz e via Roma si estende un’area centrale, oggi poco riconoscibile a causa dei cantieri, ma carica di significati e di potenzialità. Proprio lì, nel corso delle indagini archeologiche legate ai progetti di ampliamento dell’attuale ospedale Umberto Parini, sono emerse testimonianze eccezionali: una sepoltura celtica di rilievo – forse attribuibile a un “principe” –, un cromlech dell’Età del Ferro con oltre venti monoliti disposti in cerchio, tracce salasse, resti romani e medievali. Una stratificazione unica, che racconta un luogo attraversato nel tempo e, forse, vissuto come sacro fin dall’antichità. È qui che si potrebbe immaginare la nascita di un nuovo museo interamente dedicato alla Civiltà romana e a quella salassa della Valle d’Aosta. Non un museo diffuso o frammentato, ma uno spazio unitario, moderno, immersivo, capace di restituire al pubblico un racconto coerente, coinvolgente e accessibile sull’eredità archeologica della regione. Il nuovo museo andrebbe a sostituire l’attuale sede espositiva di piazza Roncas, mantenendo in quel palazzo gli uffici della Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Valle d’Aosta. Gli ambienti liberati dalla sezione museale potrebbero così essere destinati a mostre temporanee, attività culturali, incontri, integrandosi con la piazza antistante in un percorso cittadino più dinamico e ancora da inventare. Il nuovo museo nascerebbe con spazi più ampi e adeguati, in grado di ospitare: esposizioni permanenti e temporanee, laboratori didattici, ambienti creativi per scuole e famiglie, una zona accoglienza per gruppi e turisti, un bookshop, una libreria tematica, e – perché no? – anche un caffè culturale. Un luogo vivo e accogliente, capace di dialogare con studiosi, cittadini, giovani e visitatori. Una trasformazione urbana possibile La trasformazione coinvolgerebbe anche l’area oggi occupata e circondata dall’attuale ospedale: uno spazio strategico, che potrebbe – in un futuro ipotetico – essere ripensato urbanisticamente. L’eventuale trasferimento del polo sanitario (come auspicato da tempo da diversi soggetti, ad esempio verso Saint-Christophe) aprirebbe nuove possibilità di rigenerazione urbana. Si potrebbe immaginare, ad esempio: lo spostamento in questo sito del Palazzo regionale , con parcheggio integrato e visivamente nascosto nel verde (non interrato, ma coperto, senza la percezione visibile di asfalto); parcheggio collocato sull'area prospiciente il lato che guarda su via Saint-Martin-de-Corléans. Il nuovo, e unico, “Palazzo Regionale” sfrutterebbe l'edificio dell'attuale ospedale e sarebbe così capace di accogliere insieme servizi e funzioni oggi sparsi in molti edifici del centro. Un’occasione anche per alleggerire il traffico nel cuore di Aosta e restituire centralità e maggiore funzionalità all'amministrazione pubblica; e soprattutto facilitare i cittadini, a volte costretti dalla burocrazia a raggiungere uffici anche distanti tra loro. Conclusione Un sogno? Certamente! Ma ogni città ha bisogno di visioni. E Aosta – che qualcuno, fin dall’Ottocento, ha definito “ la Roma delle Alpi ” – merita forse di essere raccontata e vissuta anche come tale. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Aosta è la città di tutti i valdostani Aosta, 100 anni dopo: i tempi cambiano, ma le sfide restano Notre Ville d’Aoste devrait faire un peu de toilette pour recevoir dignement et sans rougir ceux qui viennent la voir et l’admirer , ( Le Mont-Blanc , 29 maggio 1925). Nel maggio del 1925, sulle colonne del giornale Le Mont-Blanc , compariva un articolo intitolato semplicemente: La Ville d’Aoste . Un testo puntuale e preciso che denunciava le condizioni igieniche e urbanistiche della città. L’autore, infatti, elencava una lunga serie di problemi. Ecco alcuni dei punti toccati: - Strade sporche - Fosse per letame e immondizie a cielo aperto nei vicoli e dietro le case - Presenza massiccia di insetti e miasmi, veri focolai d’infezione - Cittadini che gettavano i vasi da notte nei ruscelli pubblici - Totale assenza di fognature - Ruscelli usati anche per lavare insalate e ortaggi destinati alla vendita - Passaggi urbani invasi da vetri rotti, cocci, stracci, scarpe, carcasse di animali - Mancanza di acqua potabile ai piani alti e nei servizi igienici - Illuminazione pubblica insufficiente o assente - Carri con carichi ingombranti nelle vie strette, a rischio per passanti e vetrine - Automobili e biciclette senza regole, che sfrecciavano “a tutto gas” senza fari né segnali - Avvisi comunali ignorati e sanzioni mai applicate Un secolo dopo, tutte queste situazioni, fortunatamente, sono state superate. Oggi godiamo di acqua potabile, di fognature, di viabilità regolamentata, di illuminazione pubblica e di una raccolta dei rifiuti strutturata, ecc. Aosta è progredita. Ma viene normale chiedersi: quali sono, oggi, i problemi di una città che ha più di due millenni di storia? Perché ogni epoca ha le sue fragilità. Le sue urgenze. Le sue sfide. - Servono una raccolta rifiuti più efficiente e una tassazione più equa - La manutenzione di strade e marciapiedi, spesso dissestati o trascurati - Una maggiore cura e un incremento del verde pubblico - Una viabilità migliore e coerente con le esigenze di residenti e visitatori - Il futuro dell’ospedale, come edificio e come zona urbana da ripensare - Il decoro urbano, in particolare nelle zone non centrali - Spazi pubblici, piazze comprese, accoglienti e vivi, davvero pensati per tutti - Luoghi culturali e di aggregazione per giovani e associazioni - Riqualificazione di zone importanti come l’area mercatale, il Puchoz, l’Arco d’Augusto, le arcate del Plot-Piazza della Repubblica, i quartieri - Parcheggi da ripensare, aumentare, riorganizzare - Soluzioni per riportare il piccolo commercio nel cuore della città - Il ripristino di Consigli frazionali e Consulte cittadine - Un investimento convinto nella bellezza come diritto, non come vezzo. E poi, tante altre cose che non trovano spazio qui, ma che chi abita Aosta conosce bene. Nel 1925 si chiedeva più rispetto per la città. Nel 2025 possiamo fare altrettanto, con gli strumenti e le responsabilità di oggi. Perché — come scriveva quell’autore di un secolo fa: non basta attirare turisti; o celebrare la storia millenaria - diremmo oggi - se chi abita Aosta ogni giorno si trova a convivere con trascuratezze e contraddizioni. Cent’anni fa si trattava di migliorare un piccolo borgo che diventava città. Oggi serve il coraggio di ripensare quella città, perché essa è un corpo che cresce e si trasforma di continuo. Aosta è la città di tutti i valdostani .

Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 5 – Piazza Plouves e il suo “mantello verde” Se c’è un luogo di Aosta che più di altri rimane sospeso tra un passato ingombrante e un presente incompiuto, questo è senza dubbio piazza Plouves. Chi la conosce da tempo lo sa: piazza non è mai stata davvero. Nel corso degli anni è rimasta soprattutto un grande parcheggio, talvolta riarso dal sole, altre volte grigio e desolato, più raramente animato da qualche importante iniziativa temporanea. Di bello ha poco, eppure ha un grande potenziale nascosto, che meriterebbe di essere risvegliato. Negli ultimi tempi qualcosa si è mosso. Il Comune ha dato un segnale: ridotto il mare d’asfalto, tracciato il passaggio della pista ciclabile a nord, inserito dei filari di alberi. Un gesto importante, che va nella giusta direzione, ma che da solo non basta a cambiare l’anima del luogo. Anzi, per molti cittadini, il nuovo assetto rischia di generare nuove frustrazioni: meno parcheggi disponibili, una piazza che rimane a vocazione automobilistica, senza risolvere però il suo squilibrio visivo e funzionale. E sotto — ce lo diciamo con discrezione — sappiamo che il sottosuolo potrebbe custodire ancora importanti testimonianze romane: scavare non si può, e forse non si deve. Meglio rispettare ciò che sta sotto, e reinventare ciò che sta sopra. Proposta Immaginiamo allora una copertura leggera e verde, sospesa sopra l’attuale piano della piazza, che possa finalmente farla respirare. Non un semplice tetto, non un’altra pensilina, ma una vela urbana verde, capace di: ombreggiare i veicoli nelle ore calde; rendere lo spazio più vivibile e attraente; cambiare la percezione visiva di un angolo oggi respingente. La copertura: non comporterebbe scavi profondi: solo appoggi superficiali, ben calibrati; potrebbe essere realizzata con strutture leggere in metallo o legno lamellare, integrate nell’ambiente; avrebbe una parte superiore coperta di verde leggero: piante tappezzanti, sedum, piccoli rampicanti, che non pongano problemi di peso né di radici invasive. L’effetto sarebbe quello di una grande pergola moderna, una piazza che respira, che finalmente avrebbe: una nuova identità visiva; un miglior comfort termico e acustico; una funzione più accogliente per i cittadini e i visitatori; e, possibilmente, anche una struttura smontabile in occasione dei grandi padiglioni della Fiera di Sant’Orso. Conclusione Non serve inventare una nuova piazza. Serve liberare quella che già esiste dal peso della sua funzione più grigia, recuperando anche buona parte dei parcheggi persi con la nuova sistemazione. Fare in modo che chi passa, chi pedala, chi parcheggia, chi si ferma un istante... trovi un luogo più amico, più verde, più bello. Una piazza che non sia solo asfalto e ruote, ma una vela urbana che dia respiro a chi vi transita. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 4 – Una zona franca Aosta Negli ultimi anni, il centro storico di Aosta si sta progressivamente svuotando. Molti negozi hanno chiuso, altri resistono con fatica. Il commercio si sposta verso i grandi centri commerciali sorti nelle immediate vicinanze, lasciando il cuore della città più fragile e più silenzioso. Eppure il centro di Aosta, con il suo impianto romano e medievale, resta un patrimonio unico: un centro che dovrebbe vivere ogni giorno, non solo nei momenti di festa o di visita turistica. Per questo, vale forse la pena tornare a guardare e ispirarsi anche a strumenti che la nostra Regione Autonoma ha già iscritti nella sua "costituzione". L’articolo 14 dello Statuto Speciale stabilisce che “ il territorio della Valle d'Aosta è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca ”, e che “le modalità di attuazione saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato”. Una possibilità che, finora, non è mai stata realmente applicata e che può ispirare strade simili grazie a leggi nazionali attuali. Perché allora non partire da qui — oggi — per proporre, in armonia con lo Stato e con una visione condivisa, una zona franca di tipo commerciale mirata per il centro storico di Aosta e, perché no, anche per i comuni di alta montagna o altre aree da sostenere. Non è certo un’idea nuova la mia: anzi, di recente (1) si è parlato della possibilità di creare una zona franca anche per il cuore di Aosta. Nel caso specifico di Aosta, non si tratta di privilegiare un’area a scapito di altre, ma di contrastare la desertificazione del cuore urbano e restituire vitalità a quella che è, ancora, l’anima della città. Il perimetro potrebbe essere quello naturale intorno agli assi romani e medievali, comprendendo anche i quartieri storici che ancora oggi formano un tessuto commerciale e sociale riconoscibile. Qui, agevolazioni fiscali e contributive selettive potrebbero incentivare il mantenimento delle attività esistenti e attrarre nuove aperture legate alla qualità, all’artigianato, alla ristorazione, al commercio di prossimità. In parallelo — e senza pesantezze burocratiche — si potrebbe anche valorizzare l’identità storica delle diverse zone della città . Recuperare la memoria degli antichi borghi e sobborghi, riscoprire o reinventare feste e tradizioni locali — come quella patronale di San Lorenzo in piena estate, accanto alle più note ricorrenze come quella di Sant'Orso — potrebbe offrire un’occasione per arricchire il calendario cittadino e per creare nuove proposte turistiche e culturali. Zone come la Cité o il Borgo di Sant'Orso potrebbero così riscoprirsi anche come “quartieri storici-commerciali”, capaci di proporre prodotti e iniziative legate alla propria identità. Non sarebbe un progetto contro nessuno, ma per tutti. Per i cittadini, che avrebbero un centro più vivo e attrattivo; per i turisti, che incontrerebbero un’anima autentica della città; per chi oggi gestisce un’attività e per chi potrebbe scegliere di riaprire o di aprirne una nuova. Un sogno? Certo . Ma ogni città ha bisogno di visioni. E Aosta, oggi più che mai, potrebbe iniziare a scrivere la sua nuova storia anche da qui: dal cuore. (1) Mi riferisco, in particolare, alle recenti proposte avanzate da Rassemblement Valdôtain , a cui ho avuto modo di contribuire sul piano storico durante una presentazione pubblica. ➜ Leggi l’articolo L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 3 – Le Arcate del Plot: un ponte di cultura Nel cuore di Aosta, tra la Biblioteca regionale e il nuovo polo universitario, si trovano le vecchie arcate del Plot , un edificio ottocentesco di proprietà comunale che da anni versa in condizioni fatiscenti. Questo spazio, un tempo vibrante, oggi rappresenta un punto interrogativo nel tessuto urbano, un’occasione mancata per la città. L’idea è di trasformare le arcate del Plot in un centro dedicato all’associazionismo culturale e sociale, offrendo una sede comunitaria a quelle realtà che oggi ne sono prive. Uno spazio aperto a eventi, mostre, laboratori, incontri: un nuovo punto di riferimento per la cultura locale e partecipata. La posizione strategica delle Arcate, proprio tra la Biblioteca e l’Università, le rende il luogo ideale per creare una “diagonale della cultura” : un asse che unisce studio, ricerca, cittadinanza attiva. Un luogo dove studenti, ricercatori, associazioni e semplici cittadini possano incontrarsi, condividere idee e contribuire anche a costruire, insieme, il futuro della città. Accanto alle Arcate si estende Piazza della Repubblica , oggi in parte adibita a parcheggio. Il progetto comunale di semipedonalizzazione prevede una nuova viabilità, spazi pubblici più fruibili, un collegamento più fluido tra centro storico e quartiere universitario. Il resto dello spazio potrebbe diventare una vera piazza verde, alberata, vivibile in ogni stagione: un respiro urbano, non solo un transito. Nella vicina “piazza” universitaria, spazi recentemente intitolati all’Autonomia valdostana ( Jardin de l’Autonomie ), avevo proposto — in un precedente articolo — di spostare qui, dai giardini Emilio Lussu (area verde posta nei pressi della stazione ferroviaria), la statua del dottor Cerise. Un gesto simbolico per dare nuova centralità a una figura chiave della nostra storia, e per creare un luogo che racconti, anche visivamente, l’identità e la cutura della Vallée . Due piazze , due storie , un’idea condivisa: Autonomia valdostana nella Repubblica Italiana. Un ponte culturale e civile, tra memoria e presente. È solo un’idea, certo . Ma se vogliamo che Aosta sia più viva, più ordinata, più accogliente, dobbiamo osare immaginare una città che non sia senza anima, senza visione, senza... L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 2 – Un mercato che respira Piazza Cavalieri di Vittorio Veneto, davanti alle Halles , è oggi uno spazio che si contrae e si espande a seconda dei giorni. Due volte a settimana si anima con il mercato cittadino: bancarelle, voci, furgoni, vita. Per il resto del tempo, diventa un parcheggio informe, invaso dalle auto. Eppure siamo a pochi passi dal cuore storico di Aosta: tra le stazioni ferroviaria e dei pullman, il mercato coperto e l’ingresso naturale al borgo di Sant’Orso. Uno snodo fondamentale, oggi sottoutilizzato e confuso. L’idea è quella di ripensare completamente l’area, senza più compromessi: – via le auto in superficie, tenendo conto del progetto di parcheggio sotterraneo già ipotizzato ( cfr. Puntata 1 – Un porto per Aosta ) – abbattimento (o, al massimo, riadattamento) dell’attuale presidio fisso, per fare spazio a una nuova struttura leggera e integrata, ispirata ai mercati europei contemporanei Una grande copertura colorata, luminosa, possibilmente ondulata, capace di ospitare: – una metà “fissa”, con botteghe sempre aperte, piccoli bistrot, rivendite, spazi di comunità, e anche ospitalità per altri mercati, come quelli periodici che si tengono in piazza Chanoux – una metà “flessibile”, modulare, accessibile ai furgoni e camioncini due volte a settimana, in modo ordinato, organizzato, sicuro Uno spazio che non muore nei giorni feriali, ma si trasforma: un mercato, certo, ma anche una piazza accogliente, artistica, un salotto urbano. In qualche modo, anch’esso un luogo d’incontro. Oltre il mercato Un progetto del genere potrebbe: – rafforzare le Halles e ridargli centralità – creare una nuova connessione tra centro e semicentro – aprire spazi per attività commerciali e artigianali – valorizzare i prodotti locali – riportare vita in una città che sta assistendo alla chiusura di tante, troppe attività – restituire al commercio ambulante dignità, servizi, ordine – rendere il mercato non solo più funzionale, ma anche bello, vivo, riconoscibile Spesso i turisti — in particolare francofoni — arrivano ad Aosta alla ricerca del “ célèbre marché d’Aoste ”, affascinati da racconti, fotografie, articoli... Forse confondono il mercato cittadino con quello natalizio. Organizzano viaggi di gruppo, si aspettano un’esperienza viva, colorata, strutturata — e talvolta rimangono delusi nel trovarsi davanti un mercato come tanti, disperso su un parcheggio senza anima. Per l’Aosta che verrà È solo un’idea, certo. Ma se vogliamo che Aosta sia più viva, più ordinata, più accogliente, dobbiamo osare immaginare una città che non respira solo qualche mezza mattinata, ma ogni giorno, in ogni stagione. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile , prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 1 – Il “porto" di Aosta Ogni anno, migliaia di persone raggiungono Aosta per scoprirne il patrimonio storico, culturale e paesaggistico. Eppure, la città - così com’è oggi - fatica ad accoglierle con ordine, cura e coerenza. I pullman turistici a volte si fermano alla meglio. Sono stati attrezzati dei punti al parcheggio di piazza Mazzini e della Consolata, ma per quanto apparentemente vicino quest’ultimo, resta abbastanza distante per molti gruppi, specie di anziani, spesso in fila sotto il sole. Le comitive si radunano in spazi improvvisati. I servizi sono distribuiti in modo frammentario e totalmente insufficienti alla massa di persone che si riversano in città. Il primo impatto con Aosta, per molti, è confuso, scomodo, disorganico. Non certo un bel biglietto da visita. Nasce da qui l’idea di un PORTO : Punto di Orientamento e Ritrovo Turistico Organizzato . Un luogo pensato per accogliere con dignità chi arriva in città: gruppi, scolaresche, famiglie, visitatori di passaggio. Un punto d’ingresso funzionale, bello, vivo, vivace. L’area tra piazza Mazzini e l’ex stadio Puchoz si presta perfettamente a questa funzione. Oggi poco valorizzata, potrebbe trasformarsi in uno snodo strategico per il turismo e, soprattutto, di ritrovo per la cittadinanza. Un progetto possibile Il progetto potrebbe prevedere: un parcheggio sotterraneo, capace di accogliere diverse centinaia di auto e decine di autobus turistici; in superficie, un grande polmone verde, un parco urbano attrezzato con: zone verdi per soste e picnic, aree sportive leggere (il tennis già c’è; si può immaginare corsa, gioco libero…), piccoli chioschi e ristori, un ufficio per guide e accoglienza turistica, servizi igienici pubblici, spazi estemporanei (anche coperti) per classi in visita e attività culturali, piccoli anfiteatri verdi, punti di ritrovo per comitive in partenza o in arrivo, concerti, eventi musicali,... Un nodo strategico Questa nuova area sarebbe naturalmente collegata alla stazione ferroviaria e degli autobus, vicina all’area mercatale, e capace di ridare vita a via Torino — oggi spesso trascurata — e alle direttrici che fanno perno su di essa, il borgo di Sant'Orso in primis. Per l’Aosta che verrà È solo un’idea, certo. Ma credo valga la pena immaginare luoghi possibili , capaci di cambiare il volto di un’Aosta che non è più quella ottocentesca, né industriale, né post-industriale. Questo potrebbe essere un angolo dell’Aosta di domani . L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Un Cervino... poco italiano Nel marzo del 1939, il regime fascista inaugurava a Breuil-Cervinia la funivia più alta del mondo, che collegava Breuil al Plateau Rosà, a 3.500 metri di altitudine; nel 1936 il collegamento si fermava a Plan Maison (2.561 m). Per commemorare l’evento, furono anche preparate delle spille ricordo, con una medaglietta che riportava la dicitura: 4 marzo XVII - Umberto di Savoia - Inaugurazione della “più alta funivia del mondo” Breuil-Plateau Rosà metri 3500 . Tuttavia, in una curiosa ironia, la spilla raffigurava il Cervino non dal lato italiano, ma da quello svizzero di Zermatt. In un curioso controsenso, durante il regime fascista, così attento al nazionalismo e alla celebrazione dell’italianità, fu scelto paradossalmente di rappresentare la Gran Becca dalla prospettiva elvetica, anziché da quella italiana, per celebrare l’inaugurazione della funivia. Un dettaglio che non sfugge e che oggi ci fa un po’ sorridere, ricordandoci che, a volte, la storia sa essere ironica. Di chi fu la scelta? La spilletta manca del punzone-marchio del produttore. Si tratta di un piccolo aneddoto che, ancora una volta, mette in evidenza come, purtroppo, la silhoutte più riconosciuta al mondo sia quella svizzera piuttosto che italiana. Il ritardo con cui il versante valdostano fu scoperto dai turisti rispetto a quello vallesano dimostra quanto una prospettiva possa fare la differenza. Esempi di errori più recenti? Un francobollo realizzato nel 2008 raffigura il Cervino, ma l’immagine presenta un errore: la montagna è rappresentata dalla caratteristica prospettiva di Zermatt (Svizzera) anziché da Breuil-Cervinia (Valle d'Aosta, Italia)...

Introduzione Le leggende, lo sanno tutti, non hanno un tempo definito. Nascono parallele a quello reale. Questa, che vi state accingendo a leggere, non arriva neppure da un tempo lontano, no. È stata inventata di sana pianta qualche settimana fa… ma fa già finta di essere antica. A volte basta un “non so che”, un dettaglio che, con un tocco di penna, si trasforma in una nuova storia. Le leggende nascono, vivono e respirano anche nei nostri giorni, pronte a sorprendere e a trasportarci in mondi inaspettati. La finestra di Aost a che ingannò il diavolo Un tempo, si racconta, il portone dell’attuale ex-Prevostura di Aosta era spesso soggetto a strani eventi. Voci bisbigliate, ombre che si affacciavano alla soglia, e soprattutto un vento gelido che soffiava all’improvviso, come se volesse entrare con prepotenza. Alcuni dicevano che fosse solo il freddo della Dora Baltea, che risaliva dai greti irregolari del fiume; altri, più devoti, mormoravano il nome che nessuno voleva pronunciare. Il prevosto, uomo colto e prudente, sapeva bene che certi spiriti amano entrare dove tutto è perfetto, squadrato, ordinato. “Il Maligno non sopporta l’asimmetria”, diceva spesso, “perché lui stesso è lo specchio rotto dell’ordine divino”. E come recita un antico detto: “il diavolo si nasconde nei dettagli”. Fu così che, un giorno, ordinò che sopra il grande portone non fosse posta la solita finestra rettangolare — come volevano certe regole architettoniche — bensì una finestra ovale: senza spigoli, né angoli netti, né linee dritte. Gli venne anche un’idea singolare: non concludere la base dell’ovale, ma spezzarla, facendola appoggiare quadrata sull’architrave del portone. “Che follia!” dissero in molti. Ma da quel giorno le strane presenze cessarono, e il vento smise di ululare contro la facciata, forzando gli interstizi per entrare. Da allora, la finestra ovale sorveglia ancora l’ingresso, custode silenziosa di ciò che non ha forma. Di ciò che impauriva. Uno dei tanti anelli che ci àncorano al cielo, tenendoci aggrappati al Bene, a Dio.