Il Principato della Valle d'Aosta

Mauro Caniggia Nicolotti • 10 settembre 2020
Il Principato della Valle d’Aosta 

Nel corso dei secoli diverse volte la Valle d’Aosta si è avvicinata alla possibilità concreta di diventare Stato. La più evidente che vale la pena raccontare risale alla fine della Seconda guerra mondiale. 
Nel 1944, infatti, tra le correnti separatiste dall’Italia si fece strada anche l’ipotesi della costituzione di una repubblica indipendente della Valle d’Aosta. 
Ad onor del vero, già il 1° novembre 1943 l’ingegner Lino Binel(1) ne tratteggiò le possibilità in una lettera indirizzata addirittura a Il Popolo di Aosta, organo del partito fascista repubblicano: Trattando ora “de minimis”, cioè della “repubblica valdostana o qualcosa di analogo”, ritengo profondamente ingiusto e dovuto ad ignoranza storica l’ostracismo che da troppi anni si dà a tutto ciò che è valdostano. Considero inoltre semplicemente sproporzionata la definizione di “separatista” a ogni legittima campagna di tutela di onesti interessi e diritti che si vorrebbero calpestare con agio ponendoli su un piano politico. Sembra che il suo arresto organizzato di lì a poco trovi causa proprio in quella lettera; un mese e mezzo dopo fu rilasciato. 
Idea - quella indipendentista - che fu intercettata anche dalla principessa Maria José di Savoia, figura di spicco che instaurò alcuni contatti per capire se era possibile intervenire tempestivamente e con diplomazia per suggerire l’idea di un principato come quello di Monaco e del Lichtenstein che, godendo di particolari privilegi e regali attributi, sarebbe presto assurto ad una grande prosperità.(2)  
Tale prospettiva non passò inosservata nemmeno alle autorità del Regime fascista, che così la relazionò nei suoi documenti: nell’Alta Valle di Aosta circolano emissari che sarebbero stati invitati dalla ex principessa di Piemonte allo scopo di svolgere una attiva propaganda per arrivare ad una scissione di territorio che dovrebbe dar vita ad un principato a nome del figlio.(3) 
La Regina, comunque, lasciò un memoriale (che, però, è segretato per vent’anni dal decesso avvenuto nel 2001), ma di cui al momento si sarebbero perse le tracce: non so dove sia - ha dichiarato il figlio Vittorio Emanuele -, ma credo che sia in Inghilterra
La vicenda di uno Stato indipendente è ancora tutta da chiarire. Una monarchia costituzionale che, secondo alcune fonti, sarebbe stata ben accolta, per esempio, da ambienti britannici. I quali, comunque, avevano tutto l’interesse a non farsi coinvolgere direttamente onde non turbare i delicati equilibri internazionali di quegli anni, soprattutto con gli Alleati. Probabilmente è in questi termini che va ascritta la presenza di un maggiore neozelandese - insieme a quella di un colonnello inglese - ad una riunione svoltasi a Verrès nel maggio del 1945 in casa di Eugenio Corniolo,|(4) alla presenza di Maria José e dell’amico Albert Deffeyes(5) e avente lo scopo precipuo di discutere di quelle vicende, al fine anche di salvaguardare i destini della Famiglia Reale, molto in bilico dopo la caduta del Fascismo. 
Il progetto di uno Stato valdostano fu caldeggiato anche dal Gruppo d’unione Camillo Cavour, una formazione filomonarchica nata in clandestinità. Tracce del coinvolgimento di tale sodalizio si trovano anche contenute in una relazione del Partito Comunista Italiano (Federazione provinciale di Torino) datata 27 febbraio 1945. La notizia era chiara: Esiste un gruppo Cavour che vorrebbe fare della Valle d’Aosta un rifugio di casa Savoia, una specie di principato di Monaco.(6) Al progetto erano ovviamente legati diversi personaggi valdostani, tra i quali - oltre a Deffeyes - si ricorda Amédée Berthod, il quale fondait de grands espoir dans la régence de la princesse Marie-José de Piémont.(7) 
La presenza di uno Stato valdostano cuscinetto avrebbe cambiato non poco la geografia sociale, politica ed economica di questa porzione del continente, anche in considerazione della notevole ricchezza rappresentata dalle risorse idriche (e quindi energetiche) valdostane. Ma di queste idee non si trovano che poche e saltuarie tracce nella documentazione storiografica ufficiale, soprattutto nei primi decenni dopo la guerra. D’altronde la possibile presenza, all’interno dei precedenti confini italiani, di uno Stato retto dalla famiglia dei Savoia come poteva essere accolta e raccontata in una repubblica che aveva sancito nella sua stessa Costituzione il bando integrale di quella casata dal suo territorio? Un confino che ha peraltro resistito per ben 56 anni, ossia dal 1946 al 2002... (8)
Pur essendo deceduta in vigenza di tale esilio, comunque, la regina Maria José chiese ed ottenne al suo funerale l’esecuzione di Montagnes Valdôtaines;(9) un tributo al suo amore per la Valle d’Aosta e per le sue montagne.

L’ipotesi di riconoscere alla Valle d’Aosta una indépendance ou au moins son autonomie complète garantita dall’ONU fu richiesta, inoltre, anche dai valdostani di Parigi. Una questione molto delicata che aveva già coinvolto la Francia (interessata ai destini della regione) fin dai giorni successivi alla Liberazione e che fu trattata a margine della Conferenza di Pace che si svolse a Parigi tra il 29 luglio e il 15 ottobre del 1946. La delegazione neozelandese si era offerta pubblicamente di sostenere le rivendicazioni valdostane. Forse - come anticipato - essa era già coinvolta nell’affaire da tempo, cioè fin da quando nel maggio 1945 si stava prospettando l’ipotesi di costituire il Principato valdostano di cui si è raccontato poc’anzi. Ma probabilmente rappresentava anche gli interessi dei governi britannico e statunitense, che non volevano apparire in prima linea nel difendere rivendicazioni territoriali che potevano turbare i delicati equilibri postbellici con gli Alleati. 
Nella capitale francese, però, i vari incontri che alcuni rappresentanti valdostani dovevano intavolare per ottenere la fondamentale copertura di garanzie internazionali all’autonomia valdostana diedero luogo a quasi una farsa quasi da operetta. Fallirono proprio a causa dell’impegno ambiguo valdostano, che ad un certo punto inspiegabilmente rinunciò alla partita, lasciando di stucco le legazioni della Nuova Zelanda, del Belgio e degli Stati Uniti che, in modi diversi, si erano impegnate a perorare causa per la situazione valdostana durante la Conferenza di Pace.(10) 
Così finì il sogno indipendentista di quegli anni...


- Tratto da: Il teorema di Davide. Ha senso una Valle d'Aosta indipendente? 
di M Caniggia Nicolotti e L. Poggianti

Note: (1) Lino Binel (1904-1981) fu antifascista, iscritto alla Jeune Vallée d’Aoste e tra i promotori del movimento della Resistenza. Fu arrestato insieme a Chanoux nel 1944 e poi deportato in Germania. Rientrato in Valle, contribuì a fondare l’Union Valdôtaine. (2) E. Consolo, I corrieri delle rose, p. 293. (3) R. Nicco, La Resistenza in Valle d’Aosta, p. 167 e nota 22. (4) Nota figura di partigiano combattente e difensore dell’etnia valdostana. (5) Esponente e ideologo dell’Union Valdôtaine, che venne costituita di lì a pochi mesi. (6) R. Nicco, La Resistenza in Valle d’Aosta, p. 167 e nota 22. (7) S. Caveri, Souvenir et révélations: Vallée d’Aoste, 1927-1948, p. 94. (8) Con la legge costituzionale n. 1/2002 vennero fatti cessare a partire dal 10 novembre 2002 gli effetti della disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana che vietava ai Savoia l’ingresso e il soggiorno su tutto il territorio italiano. Vi sono, comunque, numerose testimonianze non ufficiali della presenza di Maria José in Valle durante il periodo di esilio. (9) La Stampa, 3 febbraio 2001. (10) G. Torrione, Tàppa lo ba-Buttalo giù. 1946, Valle d’Aosta tra autonomia e annessionismo. Cronaca giornalistica di un anno difficile, pp. 128-141.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 19 giugno 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 6 – La zona dell’ospedale di Aosta Tra viale Ginevra, via Guédoz e via Roma si estende un’area centrale, oggi poco riconoscibile a causa dei cantieri, ma carica di significati e di potenzialità. Proprio lì, nel corso delle indagini archeologiche legate ai progetti di ampliamento dell’attuale ospedale Umberto Parini, sono emerse testimonianze eccezionali: una sepoltura celtica di rilievo – forse attribuibile a un “principe” –, un cromlech dell’Età del Ferro con oltre venti monoliti disposti in cerchio, tracce salasse, resti romani e medievali. Una stratificazione unica, che racconta un luogo attraversato nel tempo e, forse, vissuto come sacro fin dall’antichità. È qui che si potrebbe immaginare la nascita di un nuovo museo interamente dedicato alla Civiltà romana e a quella salassa della Valle d’Aosta. Non un museo diffuso o frammentato, ma uno spazio unitario, moderno, immersivo, capace di restituire al pubblico un racconto coerente, coinvolgente e accessibile sull’eredità archeologica della regione. Il nuovo museo andrebbe a sostituire l’attuale sede espositiva di piazza Roncas, mantenendo in quel palazzo gli uffici della Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Valle d’Aosta. Gli ambienti liberati dalla sezione museale potrebbero così essere destinati a mostre temporanee, attività culturali, incontri, integrandosi con la piazza antistante in un percorso cittadino più dinamico e ancora da inventare. Il nuovo museo nascerebbe con spazi più ampi e adeguati, in grado di ospitare: esposizioni permanenti e temporanee, laboratori didattici, ambienti creativi per scuole e famiglie, una zona accoglienza per gruppi e turisti, un bookshop, una libreria tematica, e – perché no? – anche un caffè culturale. Un luogo vivo e accogliente, capace di dialogare con studiosi, cittadini, giovani e visitatori. Una trasformazione urbana possibile La trasformazione coinvolgerebbe anche l’area oggi occupata e circondata dall’attuale ospedale: uno spazio strategico, che potrebbe – in un futuro ipotetico – essere ripensato urbanisticamente. L’eventuale trasferimento del polo sanitario (come auspicato da tempo da diversi soggetti, ad esempio verso Saint-Christophe) aprirebbe nuove possibilità di rigenerazione urbana. Si potrebbe immaginare, ad esempio: lo spostamento in questo sito del Palazzo regionale , con parcheggio integrato e visivamente nascosto nel verde (non interrato, ma coperto, senza la percezione visibile di asfalto); parcheggio collocato sull'area prospiciente il lato che guarda su via Saint-Martin-de-Corléans. Il nuovo, e unico, “Palazzo Regionale” sfrutterebbe l'edificio dell'attuale ospedale e sarebbe così capace di accogliere insieme servizi e funzioni oggi sparsi in molti edifici del centro. Un’occasione anche per alleggerire il traffico nel cuore di Aosta e restituire centralità e maggiore funzionalità all'amministrazione pubblica; e soprattutto facilitare i cittadini, a volte costretti dalla burocrazia a raggiungere uffici anche distanti tra loro. Conclusione Un sogno? Certamente! Ma ogni città ha bisogno di visioni. E Aosta – che qualcuno, fin dall’Ottocento, ha definito “ la Roma delle Alpi ” – merita forse di essere raccontata e vissuta anche come tale. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 16 giugno 2025
Aosta è la città di tutti i valdostani Aosta, 100 anni dopo: i tempi cambiano, ma le sfide restano Notre Ville d’Aoste devrait faire un peu de toilette pour recevoir dignement et sans rougir ceux qui viennent la voir et l’admirer , ( Le Mont-Blanc , 29 maggio 1925). Nel maggio del 1925, sulle colonne del giornale Le Mont-Blanc , compariva un articolo intitolato semplicemente: La Ville d’Aoste . Un testo puntuale e preciso che denunciava le condizioni igieniche e urbanistiche della città. L’autore, infatti, elencava una lunga serie di problemi. Ecco alcuni dei punti toccati: - Strade sporche - Fosse per letame e immondizie a cielo aperto nei vicoli e dietro le case - Presenza massiccia di insetti e miasmi, veri focolai d’infezione - Cittadini che gettavano i vasi da notte nei ruscelli pubblici - Totale assenza di fognature - Ruscelli usati anche per lavare insalate e ortaggi destinati alla vendita - Passaggi urbani invasi da vetri rotti, cocci, stracci, scarpe, carcasse di animali - Mancanza di acqua potabile ai piani alti e nei servizi igienici - Illuminazione pubblica insufficiente o assente - Carri con carichi ingombranti nelle vie strette, a rischio per passanti e vetrine - Automobili e biciclette senza regole, che sfrecciavano “a tutto gas” senza fari né segnali - Avvisi comunali ignorati e sanzioni mai applicate Un secolo dopo, tutte queste situazioni, fortunatamente, sono state superate. Oggi godiamo di acqua potabile, di fognature, di viabilità regolamentata, di illuminazione pubblica e di una raccolta dei rifiuti strutturata, ecc. Aosta è progredita. Ma viene normale chiedersi: quali sono, oggi, i problemi di una città che ha più di due millenni di storia? Perché ogni epoca ha le sue fragilità. Le sue urgenze. Le sue sfide. - Servono una raccolta rifiuti più efficiente e una tassazione più equa - La manutenzione di strade e marciapiedi, spesso dissestati o trascurati - Una maggiore cura e un incremento del verde pubblico - Una viabilità migliore e coerente con le esigenze di residenti e visitatori - Il futuro dell’ospedale, come edificio e come zona urbana da ripensare - Il decoro urbano, in particolare nelle zone non centrali - Spazi pubblici, piazze comprese, accoglienti e vivi, davvero pensati per tutti - Luoghi culturali e di aggregazione per giovani e associazioni - Riqualificazione di zone importanti come l’area mercatale, il Puchoz, l’Arco d’Augusto, le arcate del Plot-Piazza della Repubblica, i quartieri - Parcheggi da ripensare, aumentare, riorganizzare - Soluzioni per riportare il piccolo commercio nel cuore della città - Il ripristino di Consigli frazionali e Consulte cittadine - Un investimento convinto nella bellezza come diritto, non come vezzo. E poi, tante altre cose che non trovano spazio qui, ma che chi abita Aosta conosce bene. Nel 1925 si chiedeva più rispetto per la città. Nel 2025 possiamo fare altrettanto, con gli strumenti e le responsabilità di oggi. Perché — come scriveva quell’autore di un secolo fa: non basta attirare turisti; o celebrare la storia millenaria - diremmo oggi - se chi abita Aosta ogni giorno si trova a convivere con trascuratezze e contraddizioni. Cent’anni fa si trattava di migliorare un piccolo borgo che diventava città. Oggi serve il coraggio di ripensare quella città, perché essa è un corpo che cresce e si trasforma di continuo. Aosta è la città di tutti i valdostani .
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 12 giugno 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 5 – Piazza Plouves e il suo “mantello verde” Se c’è un luogo di Aosta che più di altri rimane sospeso tra un passato ingombrante e un presente incompiuto, questo è senza dubbio piazza Plouves. Chi la conosce da tempo lo sa: piazza non è mai stata davvero. Nel corso degli anni è rimasta soprattutto un grande parcheggio, talvolta riarso dal sole, altre volte grigio e desolato, più raramente animato da qualche importante iniziativa temporanea. Di bello ha poco, eppure ha un grande potenziale nascosto, che meriterebbe di essere risvegliato. Negli ultimi tempi qualcosa si è mosso. Il Comune ha dato un segnale: ridotto il mare d’asfalto, tracciato il passaggio della pista ciclabile a nord, inserito dei filari di alberi. Un gesto importante, che va nella giusta direzione, ma che da solo non basta a cambiare l’anima del luogo. Anzi, per molti cittadini, il nuovo assetto rischia di generare nuove frustrazioni: meno parcheggi disponibili, una piazza che rimane a vocazione automobilistica, senza risolvere però il suo squilibrio visivo e funzionale. E sotto — ce lo diciamo con discrezione — sappiamo che il sottosuolo potrebbe custodire ancora importanti testimonianze romane: scavare non si può, e forse non si deve. Meglio rispettare ciò che sta sotto, e reinventare ciò che sta sopra. Proposta Immaginiamo allora una copertura leggera e verde, sospesa sopra l’attuale piano della piazza, che possa finalmente farla respirare. Non un semplice tetto, non un’altra pensilina, ma una vela urbana verde, capace di: ombreggiare i veicoli nelle ore calde; rendere lo spazio più vivibile e attraente; cambiare la percezione visiva di un angolo oggi respingente. La copertura: non comporterebbe scavi profondi: solo appoggi superficiali, ben calibrati; potrebbe essere realizzata con strutture leggere in metallo o legno lamellare, integrate nell’ambiente; avrebbe una parte superiore coperta di verde leggero: piante tappezzanti, sedum, piccoli rampicanti, che non pongano problemi di peso né di radici invasive. L’effetto sarebbe quello di una grande pergola moderna, una piazza che respira, che finalmente avrebbe: una nuova identità visiva; un miglior comfort termico e acustico; una funzione più accogliente per i cittadini e i visitatori; e, possibilmente, anche una struttura smontabile in occasione dei grandi padiglioni della Fiera di Sant’Orso. Conclusione Non serve inventare una nuova piazza. Serve liberare quella che già esiste dal peso della sua funzione più grigia, recuperando anche buona parte dei parcheggi persi con la nuova sistemazione. Fare in modo che chi passa, chi pedala, chi parcheggia, chi si ferma un istante... trovi un luogo più amico, più verde, più bello. Una piazza che non sia solo asfalto e ruote, ma una vela urbana che dia respiro a chi vi transita. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 8 giugno 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 4 – Una zona franca Aosta Negli ultimi anni, il centro storico di Aosta si sta progressivamente svuotando. Molti negozi hanno chiuso, altri resistono con fatica. Il commercio si sposta verso i grandi centri commerciali sorti nelle immediate vicinanze, lasciando il cuore della città più fragile e più silenzioso. Eppure il centro di Aosta, con il suo impianto romano e medievale, resta un patrimonio unico: un centro che dovrebbe vivere ogni giorno, non solo nei momenti di festa o di visita turistica. Per questo, vale forse la pena tornare a guardare e ispirarsi anche a strumenti che la nostra Regione Autonoma ha già iscritti nella sua "costituzione". L’articolo 14 dello Statuto Speciale stabilisce che “ il territorio della Valle d'Aosta è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca ”, e che “le modalità di attuazione saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato”. Una possibilità che, finora, non è mai stata realmente applicata e che può ispirare strade simili grazie a leggi nazionali attuali. Perché allora non partire da qui — oggi — per proporre, in armonia con lo Stato e con una visione condivisa, una zona franca di tipo commerciale mirata per il centro storico di Aosta e, perché no, anche per i comuni di alta montagna o altre aree da sostenere. Non è certo un’idea nuova la mia: anzi, di recente (1) si è parlato della possibilità di creare una zona franca anche per il cuore di Aosta. Nel caso specifico di Aosta, non si tratta di privilegiare un’area a scapito di altre, ma di contrastare la desertificazione del cuore urbano e restituire vitalità a quella che è, ancora, l’anima della città. Il perimetro potrebbe essere quello naturale intorno agli assi romani e medievali, comprendendo anche i quartieri storici che ancora oggi formano un tessuto commerciale e sociale riconoscibile. Qui, agevolazioni fiscali e contributive selettive potrebbero incentivare il mantenimento delle attività esistenti e attrarre nuove aperture legate alla qualità, all’artigianato, alla ristorazione, al commercio di prossimità. In parallelo — e senza pesantezze burocratiche — si potrebbe anche valorizzare l’identità storica delle diverse zone della città . Recuperare la memoria degli antichi borghi e sobborghi, riscoprire o reinventare feste e tradizioni locali — come quella patronale di San Lorenzo in piena estate, accanto alle più note ricorrenze come quella di Sant'Orso — potrebbe offrire un’occasione per arricchire il calendario cittadino e per creare nuove proposte turistiche e culturali. Zone come la Cité o il Borgo di Sant'Orso potrebbero così riscoprirsi anche come “quartieri storici-commerciali”, capaci di proporre prodotti e iniziative legate alla propria identità. Non sarebbe un progetto contro nessuno, ma per tutti. Per i cittadini, che avrebbero un centro più vivo e attrattivo; per i turisti, che incontrerebbero un’anima autentica della città; per chi oggi gestisce un’attività e per chi potrebbe scegliere di riaprire o di aprirne una nuova. Un sogno? Certo . Ma ogni città ha bisogno di visioni. E Aosta, oggi più che mai, potrebbe iniziare a scrivere la sua nuova storia anche da qui: dal cuore. (1) Mi riferisco, in particolare, alle recenti proposte avanzate da Rassemblement Valdôtain , a cui ho avuto modo di contribuire sul piano storico durante una presentazione pubblica. ➜ Leggi l’articolo L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 5 giugno 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 3 – Le Arcate del Plot: un ponte di cultura Nel cuore di Aosta, tra la Biblioteca regionale e il nuovo polo universitario, si trovano le vecchie arcate del Plot , un edificio ottocentesco di proprietà comunale che da anni versa in condizioni fatiscenti. Questo spazio, un tempo vibrante, oggi rappresenta un punto interrogativo nel tessuto urbano, un’occasione mancata per la città. L’idea è di trasformare le arcate del Plot in un centro dedicato all’associazionismo culturale e sociale, offrendo una sede comunitaria a quelle realtà che oggi ne sono prive. Uno spazio aperto a eventi, mostre, laboratori, incontri: un nuovo punto di riferimento per la cultura locale e partecipata. La posizione strategica delle Arcate, proprio tra la Biblioteca e l’Università, le rende il luogo ideale per creare una “diagonale della cultura” : un asse che unisce studio, ricerca, cittadinanza attiva. Un luogo dove studenti, ricercatori, associazioni e semplici cittadini possano incontrarsi, condividere idee e contribuire anche a costruire, insieme, il futuro della città. Accanto alle Arcate si estende Piazza della Repubblica , oggi in parte adibita a parcheggio. Il progetto comunale di semipedonalizzazione prevede una nuova viabilità, spazi pubblici più fruibili, un collegamento più fluido tra centro storico e quartiere universitario. Il resto dello spazio potrebbe diventare una vera piazza verde, alberata, vivibile in ogni stagione: un respiro urbano, non solo un transito. Nella vicina “piazza” universitaria, spazi recentemente intitolati all’Autonomia valdostana ( Jardin de l’Autonomie ), avevo proposto — in un precedente articolo — di spostare qui, dai giardini Emilio Lussu (area verde posta nei pressi della stazione ferroviaria), la statua del dottor Cerise. Un gesto simbolico per dare nuova centralità a una figura chiave della nostra storia, e per creare un luogo che racconti, anche visivamente, l’identità e la cutura della Vallée . Due piazze , due storie , un’idea condivisa: Autonomia valdostana nella Repubblica Italiana. Un ponte culturale e civile, tra memoria e presente. È solo un’idea, certo . Ma se vogliamo che Aosta sia più viva, più ordinata, più accogliente, dobbiamo osare immaginare una città che non sia senza anima, senza visione, senza... L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 2 giugno 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 2 – Un mercato che respira Piazza Cavalieri di Vittorio Veneto, davanti alle Halles , è oggi uno spazio che si contrae e si espande a seconda dei giorni. Due volte a settimana si anima con il mercato cittadino: bancarelle, voci, furgoni, vita. Per il resto del tempo, diventa un parcheggio informe, invaso dalle auto. Eppure siamo a pochi passi dal cuore storico di Aosta: tra le stazioni ferroviaria e dei pullman, il mercato coperto e l’ingresso naturale al borgo di Sant’Orso. Uno snodo fondamentale, oggi sottoutilizzato e confuso. L’idea è quella di ripensare completamente l’area, senza più compromessi: – via le auto in superficie, tenendo conto del progetto di parcheggio sotterraneo già ipotizzato ( cfr. Puntata 1 – Un porto per Aosta ) – abbattimento (o, al massimo, riadattamento) dell’attuale presidio fisso, per fare spazio a una nuova struttura leggera e integrata, ispirata ai mercati europei contemporanei Una grande copertura colorata, luminosa, possibilmente ondulata, capace di ospitare: – una metà “fissa”, con botteghe sempre aperte, piccoli bistrot, rivendite, spazi di comunità, e anche ospitalità per altri mercati, come quelli periodici che si tengono in piazza Chanoux – una metà “flessibile”, modulare, accessibile ai furgoni e camioncini due volte a settimana, in modo ordinato, organizzato, sicuro Uno spazio che non muore nei giorni feriali, ma si trasforma: un mercato, certo, ma anche una piazza accogliente, artistica, un salotto urbano. In qualche modo, anch’esso un luogo d’incontro. Oltre il mercato Un progetto del genere potrebbe: – rafforzare le Halles e ridargli centralità – creare una nuova connessione tra centro e semicentro – aprire spazi per attività commerciali e artigianali – valorizzare i prodotti locali – riportare vita in una città che sta assistendo alla chiusura di tante, troppe attività – restituire al commercio ambulante dignità, servizi, ordine – rendere il mercato non solo più funzionale, ma anche bello, vivo, riconoscibile Spesso i turisti — in particolare francofoni — arrivano ad Aosta alla ricerca del “ célèbre marché d’Aoste ”, affascinati da racconti, fotografie, articoli... Forse confondono il mercato cittadino con quello natalizio. Organizzano viaggi di gruppo, si aspettano un’esperienza viva, colorata, strutturata — e talvolta rimangono delusi nel trovarsi davanti un mercato come tanti, disperso su un parcheggio senza anima. Per l’Aosta che verrà È solo un’idea, certo. Ma se vogliamo che Aosta sia più viva, più ordinata, più accogliente, dobbiamo osare immaginare una città che non respira solo qualche mezza mattinata, ma ogni giorno, in ogni stagione. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 30 maggio 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile , prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 1 – Il “porto" di Aosta Ogni anno, migliaia di persone raggiungono Aosta per scoprirne il patrimonio storico, culturale e paesaggistico. Eppure, la città - così com’è oggi - fatica ad accoglierle con ordine, cura e coerenza. I pullman turistici a volte si fermano alla meglio. Sono stati attrezzati dei punti al parcheggio di piazza Mazzini e della Consolata, ma per quanto apparentemente vicino quest’ultimo, resta abbastanza distante per molti gruppi, specie di anziani, spesso in fila sotto il sole. Le comitive si radunano in spazi improvvisati. I servizi sono distribuiti in modo frammentario e totalmente insufficienti alla massa di persone che si riversano in città. Il primo impatto con Aosta, per molti, è confuso, scomodo, disorganico. Non certo un bel biglietto da visita. Nasce da qui l’idea di un PORTO : Punto di Orientamento e Ritrovo Turistico Organizzato . Un luogo pensato per accogliere con dignità chi arriva in città: gruppi, scolaresche, famiglie, visitatori di passaggio. Un punto d’ingresso funzionale, bello, vivo, vivace. L’area tra piazza Mazzini e l’ex stadio Puchoz si presta perfettamente a questa funzione. Oggi poco valorizzata, potrebbe trasformarsi in uno snodo strategico per il turismo e, soprattutto, di ritrovo per la cittadinanza. Un progetto possibile Il progetto potrebbe prevedere: un parcheggio sotterraneo, capace di accogliere diverse centinaia di auto e decine di autobus turistici; in superficie, un grande polmone verde, un parco urbano attrezzato con: zone verdi per soste e picnic, aree sportive leggere (il tennis già c’è; si può immaginare corsa, gioco libero…), piccoli chioschi e ristori, un ufficio per guide e accoglienza turistica, servizi igienici pubblici, spazi estemporanei (anche coperti) per classi in visita e attività culturali, piccoli anfiteatri verdi, punti di ritrovo per comitive in partenza o in arrivo, concerti, eventi musicali,... Un nodo strategico Questa nuova area sarebbe naturalmente collegata alla stazione ferroviaria e degli autobus, vicina all’area mercatale, e capace di ridare vita a via Torino — oggi spesso trascurata — e alle direttrici che fanno perno su di essa, il borgo di Sant'Orso in primis. Per l’Aosta che verrà È solo un’idea, certo. Ma credo valga la pena immaginare luoghi possibili , capaci di cambiare il volto di un’Aosta che non è più quella ottocentesca, né industriale, né post-industriale. Questo potrebbe essere un angolo dell’Aosta di domani . L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 12 maggio 2025
Un Cervino... poco italiano Nel marzo del 1939, il regime fascista inaugurava a Breuil-Cervinia la funivia più alta del mondo, che collegava Breuil al Plateau Rosà, a 3.500 metri di altitudine; nel 1936 il collegamento si fermava a Plan Maison (2.561 m). Per commemorare l’evento, furono anche preparate delle spille ricordo, con una medaglietta che riportava la dicitura: 4 marzo XVII - Umberto di Savoia - Inaugurazione della “più alta funivia del mondo” Breuil-Plateau Rosà metri 3500 . Tuttavia, in una curiosa ironia, la spilla raffigurava il Cervino non dal lato italiano, ma da quello svizzero di Zermatt. In un curioso controsenso, durante il regime fascista, così attento al nazionalismo e alla celebrazione dell’italianità, fu scelto paradossalmente di rappresentare la Gran Becca dalla prospettiva elvetica, anziché da quella italiana, per celebrare l’inaugurazione della funivia. Un dettaglio che non sfugge e che oggi ci fa un po’ sorridere, ricordandoci che, a volte, la storia sa essere ironica. Di chi fu la scelta? La spilletta manca del punzone-marchio del produttore. Si tratta di un piccolo aneddoto che, ancora una volta, mette in evidenza come, purtroppo, la silhoutte più riconosciuta al mondo sia quella svizzera piuttosto che italiana. Il ritardo con cui il versante valdostano fu scoperto dai turisti rispetto a quello vallesano dimostra quanto una prospettiva possa fare la differenza. Esempi di errori più recenti? Un francobollo realizzato nel 2008 raffigura il Cervino, ma l’immagine presenta un errore: la montagna è rappresentata dalla caratteristica prospettiva di Zermatt (Svizzera) anziché da Breuil-Cervinia (Valle d'Aosta, Italia)...
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 5 maggio 2025
Introduzione Le leggende, lo sanno tutti, non hanno un tempo definito. Nascono parallele a quello reale. Questa, che vi state accingendo a leggere, non arriva neppure da un tempo lontano, no. È stata inventata di sana pianta qualche settimana fa… ma fa già finta di essere antica. A volte basta un “non so che”, un dettaglio che, con un tocco di penna, si trasforma in una nuova storia. Le leggende nascono, vivono e respirano anche nei nostri giorni, pronte a sorprendere e a trasportarci in mondi inaspettati. La finestra di Aost a che ingannò il diavolo Un tempo, si racconta, il portone dell’attuale ex-Prevostura di Aosta era spesso soggetto a strani eventi. Voci bisbigliate, ombre che si affacciavano alla soglia, e soprattutto un vento gelido che soffiava all’improvviso, come se volesse entrare con prepotenza. Alcuni dicevano che fosse solo il freddo della Dora Baltea, che risaliva dai greti irregolari del fiume; altri, più devoti, mormoravano il nome che nessuno voleva pronunciare. Il prevosto, uomo colto e prudente, sapeva bene che certi spiriti amano entrare dove tutto è perfetto, squadrato, ordinato. “Il Maligno non sopporta l’asimmetria”, diceva spesso, “perché lui stesso è lo specchio rotto dell’ordine divino”. E come recita un antico detto: “il diavolo si nasconde nei dettagli”. Fu così che, un giorno, ordinò che sopra il grande portone non fosse posta la solita finestra rettangolare — come volevano certe regole architettoniche — bensì una finestra ovale: senza spigoli, né angoli netti, né linee dritte. Gli venne anche un’idea singolare: non concludere la base dell’ovale, ma spezzarla, facendola appoggiare quadrata sull’architrave del portone. “Che follia!” dissero in molti. Ma da quel giorno le strane presenze cessarono, e il vento smise di ululare contro la facciata, forzando gli interstizi per entrare. Da allora, la finestra ovale sorveglia ancora l’ingresso, custode silenziosa di ciò che non ha forma. Di ciò che impauriva. Uno dei tanti anelli che ci àncorano al cielo, tenendoci aggrappati al Bene, a Dio.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 14 aprile 2025
Il brodo delle undici Traduzione e rielaborazione narrativa a partire da un testo del poeta valdostano Alcide Bochet (1802-1859), pubblicata sul giornale Feuille d’annonces d’Aoste , 15 febbraio 1844. La zona oggi nota come Les Fourches era, un tempo, luogo di esecuzioni pubbliche. L'autore, in premessa, si esprimeva più o meno così: " In uno dei vostri ultimi numeri, avete domandato cosa significhi le bouillon d’onze heures . Vi do la spiegazione sotto forma di leggenda in versi, a proposito di un’esecuzione capitale alle forche patibolari, in un’epoca molto antica, ma di cui le persone più anziane si ricordano ancora". Il brodo delle undici In un tempo traballante tra il XVIII e il XIX secolo, le undici di un certo sabato furono un’ora che i cittadini di Aosta non dimenticarono presto. Era il momento in cui due condannati venivano condotti fuori dalle celle, tra le preghiere sussurrate e lo scalpiccio degli stivali sul selciato. La destinazione era Les Fourches, poco fuori la città di Aosta, nella zona precollinare che ancora oggi porta quel nome. Lì, da tempo immemore, sorgevano le forche patibolari, e anche quando il legno fu rimosso, l’eco della corda rimase nell’aria. Quel giorno, però, qualcosa cambiò. Un medico — giovane e ostinato — si fece largo tra i presenti. Con passo fermo e occhio acuto, chiese una sospensione dell’esecuzione. «Fatemi esaminare i condannati. Potrei salvarli… o almeno dare loro una cura prima della fine.» I boia risero. I giudici tacquero. Ma lo lasciarono passare. Tastò il polso dei due uomini, guardò le labbra, poi si accigliò. «Sono freddi. Ma non di morte, bensì di febbre. Nessuna sanguisuga, nessuna tisana. Non li guarisce l’acqua di Courmayeur, né quella di Saint-Vincent. Non serve cataplasma, né salasso. Serve solo una cosa…» Sollevò il cappello, come per dichiarare un responso oracolare: “Presto, un b rodo”, disse. Un brodo d’onze heures! Onore alla tua scienza! Il tuo brodo li rianima. Ha potuto guarirli, per dare loro la conoscenza prima della loro dipartita. Ecco! Caro dottore, piangono, piangono poiché il tuo rimedio è vano: c’est le bouillon d’onze heures ... Nota storica L’espressione “ bouillon d’onze heures ” era diffusa in Francia almeno dal XVIII secolo e indicava, nel linguaggio popolare, l’ultimo pasto simbolico prima della morte. Secondo alcune fonti, deriverebbe dalla consuetudine dei Fratelli della Carità di somministrare, tra le 22 e le 23, un brodo caldo ai malati più gravi durante le veglie notturne. In certi casi, quel brodo veniva riservato a chi non avrebbe superato la notte, o, secondo interpretazioni più oscure, poteva contenere sostanze tossiche, o rappresentare, per i più fragili, un mezzo inconsapevole e fatale. Nel Dictionnaire universel français et latin di Trévoux (1771), si legge: P rendre un bouillon de onze heures : mourir . (1) La leggenda aostana del 1844 riprende questo tema, e lo trasforma in una narrazione ironica e malinconica, dove il brodo non salva, ma dona l’ultima, effimera conoscenza... (1) P. Bourrinet, C. Guyotjeannin, “Bouillon d’onze heures” , in Revue d’Histoire de la Pharmacie , 2005, n° 346, pp. 295–296.
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