Quasi come le vecchie leggende...
Una notizia, pubblicata il 29 maggio 1903 dal periodico Le Mont-Blanc, si presenta particolarmente curiosa fin dal titolo: St-Rhemy. - L’odyssée d’une chèvre.
L’articolo, infatti, relaziona, come verso la fine dell’autunno del 1902 una capra risultò mancare all’appello proprio in occasione del rientro autunnale a valle dai pascoli; Compte et recompte, il en manquait une
e al proprietario, Samuel Margueret di Bosses, non restava che rientrare in paese deluso per la perdita.
L’inverno trascorse e il fattaccio restò solo come un brutto ricordo nella famiglia Margueret fino a quando ci fu una grande sorpresa. Nel maggio del 1903, infatti, qualcuno riportò a Samuel l’animale: oh! dans quel état, mais c’était sa chèvre.
Due pastori l’avevano ritrovata a monte del colle del Gran San Bernardo (2.473 m), ossia presso la località chiamata Senglié, cioè nelle immediate vicinanze del colle di Saint-Rhémy (2.562 m).
“Come ha potuto, quella povera bestia, nutrirsi durante i sei mesi d’inverno?”, si chiedeva il giornale.
Ciò che sembrava certo - aggiungeva ancora il foglio - è che la capra dovette arrampicarsi lungo gli stretti canaloni di quelle irte montagne; la prova di questo risiedeva nel fatto che alcune parti del suo corpo risultavano completamente spelate, mentre altre presentavano il pelo raggiungere fino ad una spanna di spessore. Inoltre, gli zoccoli erano molto consumati e fessurati da diverse rotture; delle due corna, invece, ne era rimasta solo una.
In conclusione la povera capra era diventata talmente selvatica da spaventarsi non solo alla vista di un essere umano, ma anche a quella di altri animali.
Margueret se ne prese comunque cura.
Fece del suo meglio per farle dimenticare le disavventure vissute in mezzo ai ghiacci; sempre secondo la cronaca, la povera capra pur nutrendosi poco non disdegnava, però, il sale - di cui era golosa - e di acqua qu’elle absorbe fréquemment.
La storia, vera, della capra di Bosses ricorda tanto quelle leggendarie legate ad alcune mucche che in Valle d’Aosta avrebbero vissuto esperienze simili.
Scomparse prima della discesa a valle delle mandrie, venivano poi ritrovate durante la successiva bella stagione nelle vicinanze del pascolo da cui erano fuggite, a volte accompagnate anche da un vitellino nato nel frattempo.
Un tempo storie simili servivano a spiegare la ciclicità del clima. Nei secoli, infatti, alcuni raffreddamenti climatici avevano costretto molti pastori a conquistare nuove zone più in basso dei loro alti pascoli, aree fino ad allora disabitate.
L’epica di quelle colonizzazioni fece nascere alcune leggende, racconti utili a spiegare - soprattutto ai più giovani della comunità - quelle trasformazioni del territorio. Mutazioni che un tempo non erano facili da comprendere neppure agli adulti.
Nei racconti delle stalle, c’era, dunque, la mucca “eroica” che era riuscita a sopravvivere in quelle zone inospitali. Quella tenacia aveva convinto l’uomo ad avventurarsi, e poi stabilizzarsi, laddove si credeva fosse difficile vivere.
Ma la storia della povera capra del Gran San Bernardo non era affatto leggenda e non c’entrava per nulla con il clima... era stata solo una disavventura.