Il tempo di un caffè...
Il caffè... barometro
L’immagine romantica - quasi bucolica - di un’Aosta ancora pennellabile come un placido e grande borgo di campagna, stava già dissolvendosi in pieno XIX secolo. Nel 1856, infatti, il giornalista J.-O. Mellé lamentava che la
civilisation
(oggi forse la definiremmo "modernità” se non, addirittura, “globalizzazione”) stava oramai invadendo la vita di tutti i giorni. La città, dunque, cominciava a rendersi conto di non essere più quel paesone di montagna che da tanti secoli dominava la Valle d’Aosta, ma una vera e propria città “capitale”; come anche allora in diversi amavano definirla.
In quel periodo, Aosta contava numerose taverne e
cabarets, ma vantava un solo Caffè - il
café Datta
che si trovava tra le vie Lostan e De Tillier.
Ma le cose stavano mutando presto e, così, ne cominciarono a sorgere altri in vari angoli della città: locali sempre più graziosi ed accoglienti. Per esempio, nel 1862 il
Café de la Place Charles-Albert
- allora gestito dalla famiglia Faja - pubblicizzava sui giornali di poter offrire persino della pasticceria e vari altri servizi bar, alla stregua delle più grandi città italiane. L’anno successivo, invece, veniva data notizia secondo la quale il signor Rivarolo era in procinto di aprire
un nouveau café et magasin d’épiceries
in via Marché-Vaudan (oggi via Aubert), in prossimità del Plot (attuale piazza della Repubblica); in piazza, il
Café National, invece, vantava tra i suoi vari servizi una sala da bigliardo.(1)
Trattando di caffè - in quanto bevanda, però, e non in senso di "bar" - vi è da rilevare come a quell’epoca esso fosse diventato sempre più in voga, talmente tanto che qualcuno pareva quasi volesse paragonarlo ad un a sorta di elisir di lunga vita. Si sosteneva, per esempio, come Voltaire e Fontanelle, che vissero a lungo, avessero fatto...
tous les deux un usage fréquent de la liquer arabe.
L’Indépendant
del 21 ottobre 1862, che si occupava brevemente della questione, in un trafiletto riportava anche la notizia secondo cui il dottor H. Petit aveva pubblicato un libro intitolato proprio
De la prolongation de la vie humaine par le café; memoria presentata all’
Institut de France
(
Académie des sciences) e dalle cui pagine emergevano tutta una serie di benefici dati dal caffè.
Non prendendo in considerazione qualsiasi aspetto legato alla salute, che lasciamo a chi è competente, torniamo all’uso classico, piacevole, del caffè.
Il celebre dottor César-Emmanuel Grappein di Cogne (1772-1855), per esempio, si coccolava un po’ con tale bevanda che riteneva ottima e che gli avrebbe fatto bene; almeno secondo quanto egli stesso asseriva nel 1853 ispirandosi a questi versi:
le café m’échauffe et m’inspire. Jamais à boire je ne songe. Le vin abrège le bonheur. Et le café le prolonge. Puissant café contre mes maux, doux charme de ma solitude, il purge d’humeurs les cerveaux et mon esprit d’inquiétude.(2)
Ma c’era anche chi, in modo diverso, usava il caffè per altri scopi; ossia, come un barometro...
Ecco la notizia, curiosa, pubblicata nel 1862:
Lo Zucchero barometro - Un curioso osservatore, certo signore H. Sauvageon di Valenza, ha studiato i diversi fenomeni che si producono in una tazza di caffè quando vi si pone lo zucchero; ecco il risultato delle sue operazioni, le quali trasformano una chicchera in un vero barometro. Se inzuccherando il caffè si lascia sciogliere lo zucchero senza agitare il liquido, le bolle d’aria contenute nello zucchero stesso salgono alla superficie del liquido. Se le bolle formano una massa spumosa mantenentesi sempre nel centro della tazza, si ha I’indicazione di “tempo bello fisso”; se al contrario la schiuma va sparpagliata alle pareti del vaso, vuol significare “gran pioggia”; quando la schiuma è unita e sta immobile nel centro, si ha indizio “di tempo variabile”; e finalmente, allorché sempre agglomerata si porta tutta sopra un orlo della tazza, ciò sia a denotare “leggera pioggia”. Simili indicazioni sono state confrontate con quelle del barometro metallico “Bourdon”, e con un altro a colonna di mercurio, e sono state riconosciute esattissime.(3) Quando io morirò, tu portami il caffè, e vedrai che io resuscito come Lazzaro, diceva
Eduardo De Filippo nel film Fantasmi a Roma
(1961).
(1) Feuille d’Aoste, 21 aprile 1863. (2) Associazione Musei di Cogne, Fonds Grappein, carton 8, document 522. (3) Il Faro, 11 marzo 1862.