Microbi italiani
Nel corso dei secoli sono state tante le pandemie registrate nel mondo.
Per esempio, verso la fine dell’Ottocento giunse dalla zona caucasica una grande epidemia: la cosiddetta influenza russa
o asiatica
che, tra il 1889 e il 1895 (dunque con varie recidive), provocò un milione di vittime.
Tra il 1892 e il 1893 si sfogò anche l’ennesima ondata di colera, la sesta in Italia in quel secolo.(1)
Poiché l’epidemia, giungendo dalla Russia, passò per Amburgo, le nazioni europee corsero ai ripari per controllare i confini con la Germania. La Francia, per esempio, organizzò quanto necessario - compresa l’eventualità di istituire dei cordoni sanitari - à l’égard des voyageurs et des marchandises provenant d’Allemagne ou de quelque autre pays contaminé.(2)
E in Italia?
Anche il Regno prese le sue misure.
Un giornale svizzero, desideroso di informare i suoi lettori sulle prescrizioni messe in atto dal vicino italiano, descrisse ciò che in particolar modo stava accadendo al Piccolo San Bernardo, cioè proprio al confine tra Italia e Francia.
Già partendo dal titolo del pezzo, Les microbes et nos voisins Italiens
(ossia “i microbi e i nostri vicini italiani”), in modo un po’ beffardo il foglio elvetico si occupò di raccontare il curioso cordone sanitario organizzato in quell’angolo delle Alpi ed istituito dai doganieri di Sua Maestà Umberto I di Savoia presso la première cantine:
“Un sergente delle dogane e due suoi uomini sono responsabili del servizio di controllo; i microbi non devono far altro che comportarsi bene.
Lassù, infatti, le solite fumigazioni sono sostituite da un secchio di legno in cui vengono immersi i vestiti e i cappelli di tutti gli italiani che tornano a casa dalla Francia.
Quindi, con un’asta, uno dei doganieri estrae gli indumenti “disinfettati” con questa modalità empirica e li getta a terra.
I proprietari li raccolgono, li lavano nel torrente, poi - anche se ancora bagnati - li ricollocano nelle loro valigie e queste se le caricano sulle spalle.
I germi hanno, quindi, il tempo di asciugarsi “sulla schiena” di chi li se li tira dietro sotto il cielo azzurro italiano per arrivare poi comodamente a domicilio e pure ben trasportati.”(3)
In realtà, al netto di quel facile sarcasmo, nel 1893 lo Stato italiano aveva predisposto ai confini di nordovest sette stazioni di controllo, tra le quali due situate in Valle d’Aosta: Saint-Rhémy e La Thuile.
Presso quei siti, le forze dell’ordine si accertavano dell’igiene dei vestiti dei viaggiatori.
Se gli indumenti risultavano sporchi questi dovevano essere immersi in une solution de sublimé; dopo la restituzione degli abiti i militi annotavano i nomi e la provenienza di chi subiva quel trattamento.(4)
Le istruzioni fornite ai doganieri dovevano essere quelle contenute in un opuscolo inviato dalla Prefettura di Torino; pubblicazione realizzata dalla Direzione generale della Salute Pubblica che conteneva, appunto, determinate norme per prevenire la diffusione del colera.
La notizia dell’esistenza di quel prontuario era stata data qualche tempo prima dai giornali valdostani che aggiunsero: Pour le moment la terrible maladie qui fait quelques ravages dans le midi de la France n’a pas encore fait son apparition en Italie. Quand il y aura danger, nous nous ferons un plaisir de publier ces instructions.(5)
(1) Tra il 1888 e il 1892 in Italia non furono registrate vittime; nel 1893, invece, furono 3.040 e 20 nel 1894. Tra il 1893 e il 1894 non sembrano risultare vittime di colera nel territorio del Comune di Aosta. (2) La Tribune de Genève, 5 ottobre 1892. (3) L’Ami du Peuple, 26 ottobre 1892. (4) Le Valdôtain, 28 luglio 1893. (5) Le Valdôtain, 7 luglio 1893.