I draghi sghembi
Mauro Caniggia Nicolotti • 13 febbraio 2021
I draghi sghembi
Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi
fece dire il drammaturgo Bertolt Brecht a Galileo Galilei.(1)
Il richiamo a quella citazione è quasi d’obbligo in questi giorni che portano al varo del governo Draghi, tecnico visto da molti come una sorta di eroe che "potrebbe salvare” l’Italia.
Fermo restando che gli eroi sono ben altra cosa e che la speranza che le condizioni del Paese migliorino sia cosa auspicabile, il nuovo governo Draghi nasce già in maniera discutibile.
Il classico manuale Cencelli, per esempio, è lo spartito principale di questa nuova compagine governativa, formazione che sale in gran massa su di una nave di cui non si conosce la rotta, dato che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha solo indicato dei punti programmatici di massima intorno ai quali catalizzare le forze politiche interessate. Movimenti che, però e curiosamente, salgono quasi tutti al governo del Paese (riproponendo anche figure di ex-ministri) sotto il cappello delle larghe intese; dunque, nel nome del volemose bene
questo governo che si vorrebbe innovativo, ma che non è discontinuo a quello precedente, riporta alla mente anche l’espressione paradossale delle convergenze parallele
coniata negli anni Sessanta.
Draghi - è vero e come dev’essere - presenterà il suo programma ufficiale in Parlamento, ma è altrettanto vero che sarebbe stato importante per i cittadini conoscere prima e nel dettaglio i contenuti... perlomeno per capire come mai la stragrande maggioranza dei parlamentari sia pronta così frettolosamente a mettere da parte le divisioni di partito per dare vita ad una vasta alleanza parlamentare; anche perché la decantata riforma dell’Amministrazione pubblica, per esempio, è certamente doverosa, ma le necessità sono altre ed emergenziali, come è noto a tutti.
Insomma, la curiosità per questa "nuova era" a cui, secondo alcuni, staremmo aprendo la porta è tanta...
Si vedrà...
Speriamo che questo governo - per quanto duri - non sia l’ennesima reggenza
distante dagli italiani e dai loro problemi. Insomma, che esso almeno non risponda ai bisogni della gente come fece quella principessa - ricordata nel 1741 da Jean-Jacques Rousseau - che ai contadini, che non avevano più pane per nutrirsi, rispose: che mangino brioches.(2)
Più pane, governo dei Draghi... più pane.
(1) Bertolt Brecht (1898-1956), opera teatrale Vita di Galileo, scena 13. (2) Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), Le confessioni.

Aosta è la città di tutti i valdostani Aosta, 100 anni dopo: i tempi cambiano, ma le sfide restano Notre Ville d’Aoste devrait faire un peu de toilette pour recevoir dignement et sans rougir ceux qui viennent la voir et l’admirer , ( Le Mont-Blanc , 29 maggio 1925). Nel maggio del 1925, sulle colonne del giornale Le Mont-Blanc , compariva un articolo intitolato semplicemente: La Ville d’Aoste . Un testo puntuale e preciso che denunciava le condizioni igieniche e urbanistiche della città. L’autore, infatti, elencava una lunga serie di problemi. Ecco alcuni dei punti toccati: - Strade sporche - Fosse per letame e immondizie a cielo aperto nei vicoli e dietro le case - Presenza massiccia di insetti e miasmi, veri focolai d’infezione - Cittadini che gettavano i vasi da notte nei ruscelli pubblici - Totale assenza di fognature - Ruscelli usati anche per lavare insalate e ortaggi destinati alla vendita - Passaggi urbani invasi da vetri rotti, cocci, stracci, scarpe, carcasse di animali - Mancanza di acqua potabile ai piani alti e nei servizi igienici - Illuminazione pubblica insufficiente o assente - Carri con carichi ingombranti nelle vie strette, a rischio per passanti e vetrine - Automobili e biciclette senza regole, che sfrecciavano “a tutto gas” senza fari né segnali - Avvisi comunali ignorati e sanzioni mai applicate Un secolo dopo, tutte queste situazioni, fortunatamente, sono state superate. Oggi godiamo di acqua potabile, di fognature, di viabilità regolamentata, di illuminazione pubblica e di una raccolta dei rifiuti strutturata, ecc. Aosta è progredita. Ma viene normale chiedersi: quali sono, oggi, i problemi di una città che ha più di due millenni di storia? Perché ogni epoca ha le sue fragilità. Le sue urgenze. Le sue sfide. - Servono una raccolta rifiuti più efficiente e una tassazione più equa - La manutenzione di strade e marciapiedi, spesso dissestati o trascurati - Una maggiore cura e un incremento del verde pubblico - Una viabilità migliore e coerente con le esigenze di residenti e visitatori - Il futuro dell’ospedale, come edificio e come zona urbana da ripensare - Il decoro urbano, in particolare nelle zone non centrali - Spazi pubblici, piazze comprese, accoglienti e vivi, davvero pensati per tutti - Luoghi culturali e di aggregazione per giovani e associazioni - Riqualificazione di zone importanti come l’area mercatale, il Puchoz, l’Arco d’Augusto, le arcate del Plot-Piazza della Repubblica, i quartieri - Parcheggi da ripensare, aumentare, riorganizzare - Soluzioni per riportare il piccolo commercio nel cuore della città - Il ripristino di Consigli frazionali e Consulte cittadine - Un investimento convinto nella bellezza come diritto, non come vezzo. E poi, tante altre cose che non trovano spazio qui, ma che chi abita Aosta conosce bene. Nel 1925 si chiedeva più rispetto per la città. Nel 2025 possiamo fare altrettanto, con gli strumenti e le responsabilità di oggi. Perché — come scriveva quell’autore di un secolo fa: non basta attirare turisti; o celebrare la storia millenaria - diremmo oggi - se chi abita Aosta ogni giorno si trova a convivere con trascuratezze e contraddizioni. Cent’anni fa si trattava di migliorare un piccolo borgo che diventava città. Oggi serve il coraggio di ripensare quella città, perché essa è un corpo che cresce e si trasforma di continuo. Aosta è la città di tutti i valdostani .

Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 5 – Piazza Plouves e il suo “mantello verde” Se c’è un luogo di Aosta che più di altri rimane sospeso tra un passato ingombrante e un presente incompiuto, questo è senza dubbio piazza Plouves. Chi la conosce da tempo lo sa: piazza non è mai stata davvero. Nel corso degli anni è rimasta soprattutto un grande parcheggio, talvolta riarso dal sole, altre volte grigio e desolato, più raramente animato da qualche importante iniziativa temporanea. Di bello ha poco, eppure ha un grande potenziale nascosto, che meriterebbe di essere risvegliato. Negli ultimi tempi qualcosa si è mosso. Il Comune ha dato un segnale: ridotto il mare d’asfalto, tracciato il passaggio della pista ciclabile a nord, inserito dei filari di alberi. Un gesto importante, che va nella giusta direzione, ma che da solo non basta a cambiare l’anima del luogo. Anzi, per molti cittadini, il nuovo assetto rischia di generare nuove frustrazioni: meno parcheggi disponibili, una piazza che rimane a vocazione automobilistica, senza risolvere però il suo squilibrio visivo e funzionale. E sotto — ce lo diciamo con discrezione — sappiamo che il sottosuolo potrebbe custodire ancora importanti testimonianze romane: scavare non si può, e forse non si deve. Meglio rispettare ciò che sta sotto, e reinventare ciò che sta sopra. Proposta Immaginiamo allora una copertura leggera e verde, sospesa sopra l’attuale piano della piazza, che possa finalmente farla respirare. Non un semplice tetto, non un’altra pensilina, ma una vela urbana verde, capace di: ombreggiare i veicoli nelle ore calde; rendere lo spazio più vivibile e attraente; cambiare la percezione visiva di un angolo oggi respingente. La copertura: non comporterebbe scavi profondi: solo appoggi superficiali, ben calibrati; potrebbe essere realizzata con strutture leggere in metallo o legno lamellare, integrate nell’ambiente; avrebbe una parte superiore coperta di verde leggero: piante tappezzanti, sedum, piccoli rampicanti, che non pongano problemi di peso né di radici invasive. L’effetto sarebbe quello di una grande pergola moderna, una piazza che respira, che finalmente avrebbe: una nuova identità visiva; un miglior comfort termico e acustico; una funzione più accogliente per i cittadini e i visitatori; e, possibilmente, anche una struttura smontabile in occasione dei grandi padiglioni della Fiera di Sant’Orso. Conclusione Non serve inventare una nuova piazza. Serve liberare quella che già esiste dal peso della sua funzione più grigia, recuperando anche buona parte dei parcheggi persi con la nuova sistemazione. Fare in modo che chi passa, chi pedala, chi parcheggia, chi si ferma un istante... trovi un luogo più amico, più verde, più bello. Una piazza che non sia solo asfalto e ruote, ma una vela urbana che dia respiro a chi vi transita. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 4 – Una zona franca Aosta Negli ultimi anni, il centro storico di Aosta si sta progressivamente svuotando. Molti negozi hanno chiuso, altri resistono con fatica. Il commercio si sposta verso i grandi centri commerciali sorti nelle immediate vicinanze, lasciando il cuore della città più fragile e più silenzioso. Eppure il centro di Aosta, con il suo impianto romano e medievale, resta un patrimonio unico: un centro che dovrebbe vivere ogni giorno, non solo nei momenti di festa o di visita turistica. Per questo, vale forse la pena tornare a guardare e ispirarsi anche a strumenti che la nostra Regione Autonoma ha già iscritti nella sua "costituzione". L’articolo 14 dello Statuto Speciale stabilisce che “ il territorio della Valle d'Aosta è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca ”, e che “le modalità di attuazione saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato”. Una possibilità che, finora, non è mai stata realmente applicata e che può ispirare strade simili grazie a leggi nazionali attuali. Perché allora non partire da qui — oggi — per proporre, in armonia con lo Stato e con una visione condivisa, una zona franca di tipo commerciale mirata per il centro storico di Aosta e, perché no, anche per i comuni di alta montagna o altre aree da sostenere. Non è certo un’idea nuova la mia: anzi, di recente (1) si è parlato della possibilità di creare una zona franca anche per il cuore di Aosta. Nel caso specifico di Aosta, non si tratta di privilegiare un’area a scapito di altre, ma di contrastare la desertificazione del cuore urbano e restituire vitalità a quella che è, ancora, l’anima della città. Il perimetro potrebbe essere quello naturale intorno agli assi romani e medievali, comprendendo anche i quartieri storici che ancora oggi formano un tessuto commerciale e sociale riconoscibile. Qui, agevolazioni fiscali e contributive selettive potrebbero incentivare il mantenimento delle attività esistenti e attrarre nuove aperture legate alla qualità, all’artigianato, alla ristorazione, al commercio di prossimità. In parallelo — e senza pesantezze burocratiche — si potrebbe anche valorizzare l’identità storica delle diverse zone della città . Recuperare la memoria degli antichi borghi e sobborghi, riscoprire o reinventare feste e tradizioni locali — come quella patronale di San Lorenzo in piena estate, accanto alle più note ricorrenze come quella di Sant'Orso — potrebbe offrire un’occasione per arricchire il calendario cittadino e per creare nuove proposte turistiche e culturali. Zone come la Cité o il Borgo di Sant'Orso potrebbero così riscoprirsi anche come “quartieri storici-commerciali”, capaci di proporre prodotti e iniziative legate alla propria identità. Non sarebbe un progetto contro nessuno, ma per tutti. Per i cittadini, che avrebbero un centro più vivo e attrattivo; per i turisti, che incontrerebbero un’anima autentica della città; per chi oggi gestisce un’attività e per chi potrebbe scegliere di riaprire o di aprirne una nuova. Un sogno? Certo . Ma ogni città ha bisogno di visioni. E Aosta, oggi più che mai, potrebbe iniziare a scrivere la sua nuova storia anche da qui: dal cuore. (1) Mi riferisco, in particolare, alle recenti proposte avanzate da Rassemblement Valdôtain , a cui ho avuto modo di contribuire sul piano storico durante una presentazione pubblica. ➜ Leggi l’articolo L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 3 – Le Arcate del Plot: un ponte di cultura Nel cuore di Aosta, tra la Biblioteca regionale e il nuovo polo universitario, si trovano le vecchie arcate del Plot , un edificio ottocentesco di proprietà comunale che da anni versa in condizioni fatiscenti. Questo spazio, un tempo vibrante, oggi rappresenta un punto interrogativo nel tessuto urbano, un’occasione mancata per la città. L’idea è di trasformare le arcate del Plot in un centro dedicato all’associazionismo culturale e sociale, offrendo una sede comunitaria a quelle realtà che oggi ne sono prive. Uno spazio aperto a eventi, mostre, laboratori, incontri: un nuovo punto di riferimento per la cultura locale e partecipata. La posizione strategica delle Arcate, proprio tra la Biblioteca e l’Università, le rende il luogo ideale per creare una “diagonale della cultura” : un asse che unisce studio, ricerca, cittadinanza attiva. Un luogo dove studenti, ricercatori, associazioni e semplici cittadini possano incontrarsi, condividere idee e contribuire anche a costruire, insieme, il futuro della città. Accanto alle Arcate si estende Piazza della Repubblica , oggi in parte adibita a parcheggio. Il progetto comunale di semipedonalizzazione prevede una nuova viabilità, spazi pubblici più fruibili, un collegamento più fluido tra centro storico e quartiere universitario. Il resto dello spazio potrebbe diventare una vera piazza verde, alberata, vivibile in ogni stagione: un respiro urbano, non solo un transito. Nella vicina “piazza” universitaria, spazi recentemente intitolati all’Autonomia valdostana ( Jardin de l’Autonomie ), avevo proposto — in un precedente articolo — di spostare qui, dai giardini Emilio Lussu (area verde posta nei pressi della stazione ferroviaria), la statua del dottor Cerise. Un gesto simbolico per dare nuova centralità a una figura chiave della nostra storia, e per creare un luogo che racconti, anche visivamente, l’identità e la cutura della Vallée . Due piazze , due storie , un’idea condivisa: Autonomia valdostana nella Repubblica Italiana. Un ponte culturale e civile, tra memoria e presente. È solo un’idea, certo . Ma se vogliamo che Aosta sia più viva, più ordinata, più accogliente, dobbiamo osare immaginare una città che non sia senza anima, senza visione, senza... L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 2 – Un mercato che respira Piazza Cavalieri di Vittorio Veneto, davanti alle Halles , è oggi uno spazio che si contrae e si espande a seconda dei giorni. Due volte a settimana si anima con il mercato cittadino: bancarelle, voci, furgoni, vita. Per il resto del tempo, diventa un parcheggio informe, invaso dalle auto. Eppure siamo a pochi passi dal cuore storico di Aosta: tra le stazioni ferroviaria e dei pullman, il mercato coperto e l’ingresso naturale al borgo di Sant’Orso. Uno snodo fondamentale, oggi sottoutilizzato e confuso. L’idea è quella di ripensare completamente l’area, senza più compromessi: – via le auto in superficie, tenendo conto del progetto di parcheggio sotterraneo già ipotizzato ( cfr. Puntata 1 – Un porto per Aosta ) – abbattimento (o, al massimo, riadattamento) dell’attuale presidio fisso, per fare spazio a una nuova struttura leggera e integrata, ispirata ai mercati europei contemporanei Una grande copertura colorata, luminosa, possibilmente ondulata, capace di ospitare: – una metà “fissa”, con botteghe sempre aperte, piccoli bistrot, rivendite, spazi di comunità, e anche ospitalità per altri mercati, come quelli periodici che si tengono in piazza Chanoux – una metà “flessibile”, modulare, accessibile ai furgoni e camioncini due volte a settimana, in modo ordinato, organizzato, sicuro Uno spazio che non muore nei giorni feriali, ma si trasforma: un mercato, certo, ma anche una piazza accogliente, artistica, un salotto urbano. In qualche modo, anch’esso un luogo d’incontro. Oltre il mercato Un progetto del genere potrebbe: – rafforzare le Halles e ridargli centralità – creare una nuova connessione tra centro e semicentro – aprire spazi per attività commerciali e artigianali – valorizzare i prodotti locali – riportare vita in una città che sta assistendo alla chiusura di tante, troppe attività – restituire al commercio ambulante dignità, servizi, ordine – rendere il mercato non solo più funzionale, ma anche bello, vivo, riconoscibile Spesso i turisti — in particolare francofoni — arrivano ad Aosta alla ricerca del “ célèbre marché d’Aoste ”, affascinati da racconti, fotografie, articoli... Forse confondono il mercato cittadino con quello natalizio. Organizzano viaggi di gruppo, si aspettano un’esperienza viva, colorata, strutturata — e talvolta rimangono delusi nel trovarsi davanti un mercato come tanti, disperso su un parcheggio senza anima. Per l’Aosta che verrà È solo un’idea, certo. Ma se vogliamo che Aosta sia più viva, più ordinata, più accogliente, dobbiamo osare immaginare una città che non respira solo qualche mezza mattinata, ma ogni giorno, in ogni stagione. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile , prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 1 – Il “porto" di Aosta Ogni anno, migliaia di persone raggiungono Aosta per scoprirne il patrimonio storico, culturale e paesaggistico. Eppure, la città - così com’è oggi - fatica ad accoglierle con ordine, cura e coerenza. I pullman turistici a volte si fermano alla meglio. Sono stati attrezzati dei punti al parcheggio di piazza Mazzini e della Consolata, ma per quanto apparentemente vicino quest’ultimo, resta abbastanza distante per molti gruppi, specie di anziani, spesso in fila sotto il sole. Le comitive si radunano in spazi improvvisati. I servizi sono distribuiti in modo frammentario e totalmente insufficienti alla massa di persone che si riversano in città. Il primo impatto con Aosta, per molti, è confuso, scomodo, disorganico. Non certo un bel biglietto da visita. Nasce da qui l’idea di un PORTO : Punto di Orientamento e Ritrovo Turistico Organizzato . Un luogo pensato per accogliere con dignità chi arriva in città: gruppi, scolaresche, famiglie, visitatori di passaggio. Un punto d’ingresso funzionale, bello, vivo, vivace. L’area tra piazza Mazzini e l’ex stadio Puchoz si presta perfettamente a questa funzione. Oggi poco valorizzata, potrebbe trasformarsi in uno snodo strategico per il turismo e, soprattutto, di ritrovo per la cittadinanza. Un progetto possibile Il progetto potrebbe prevedere: un parcheggio sotterraneo, capace di accogliere diverse centinaia di auto e decine di autobus turistici; in superficie, un grande polmone verde, un parco urbano attrezzato con: zone verdi per soste e picnic, aree sportive leggere (il tennis già c’è; si può immaginare corsa, gioco libero…), piccoli chioschi e ristori, un ufficio per guide e accoglienza turistica, servizi igienici pubblici, spazi estemporanei (anche coperti) per classi in visita e attività culturali, piccoli anfiteatri verdi, punti di ritrovo per comitive in partenza o in arrivo, concerti, eventi musicali,... Un nodo strategico Questa nuova area sarebbe naturalmente collegata alla stazione ferroviaria e degli autobus, vicina all’area mercatale, e capace di ridare vita a via Torino — oggi spesso trascurata — e alle direttrici che fanno perno su di essa, il borgo di Sant'Orso in primis. Per l’Aosta che verrà È solo un’idea, certo. Ma credo valga la pena immaginare luoghi possibili , capaci di cambiare il volto di un’Aosta che non è più quella ottocentesca, né industriale, né post-industriale. Questo potrebbe essere un angolo dell’Aosta di domani . L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.

Un Cervino... poco italiano Nel marzo del 1939, il regime fascista inaugurava a Breuil-Cervinia la funivia più alta del mondo, che collegava Breuil al Plateau Rosà, a 3.500 metri di altitudine; nel 1936 il collegamento si fermava a Plan Maison (2.561 m). Per commemorare l’evento, furono anche preparate delle spille ricordo, con una medaglietta che riportava la dicitura: 4 marzo XVII - Umberto di Savoia - Inaugurazione della “più alta funivia del mondo” Breuil-Plateau Rosà metri 3500 . Tuttavia, in una curiosa ironia, la spilla raffigurava il Cervino non dal lato italiano, ma da quello svizzero di Zermatt. In un curioso controsenso, durante il regime fascista, così attento al nazionalismo e alla celebrazione dell’italianità, fu scelto paradossalmente di rappresentare la Gran Becca dalla prospettiva elvetica, anziché da quella italiana, per celebrare l’inaugurazione della funivia. Un dettaglio che non sfugge e che oggi ci fa un po’ sorridere, ricordandoci che, a volte, la storia sa essere ironica. Di chi fu la scelta? La spilletta manca del punzone-marchio del produttore. Si tratta di un piccolo aneddoto che, ancora una volta, mette in evidenza come, purtroppo, la silhoutte più riconosciuta al mondo sia quella svizzera piuttosto che italiana. Il ritardo con cui il versante valdostano fu scoperto dai turisti rispetto a quello vallesano dimostra quanto una prospettiva possa fare la differenza. Esempi di errori più recenti? Un francobollo realizzato nel 2008 raffigura il Cervino, ma l’immagine presenta un errore: la montagna è rappresentata dalla caratteristica prospettiva di Zermatt (Svizzera) anziché da Breuil-Cervinia (Valle d'Aosta, Italia)...

Introduzione Le leggende, lo sanno tutti, non hanno un tempo definito. Nascono parallele a quello reale. Questa, che vi state accingendo a leggere, non arriva neppure da un tempo lontano, no. È stata inventata di sana pianta qualche settimana fa… ma fa già finta di essere antica. A volte basta un “non so che”, un dettaglio che, con un tocco di penna, si trasforma in una nuova storia. Le leggende nascono, vivono e respirano anche nei nostri giorni, pronte a sorprendere e a trasportarci in mondi inaspettati. La finestra di Aost a che ingannò il diavolo Un tempo, si racconta, il portone dell’attuale ex-Prevostura di Aosta era spesso soggetto a strani eventi. Voci bisbigliate, ombre che si affacciavano alla soglia, e soprattutto un vento gelido che soffiava all’improvviso, come se volesse entrare con prepotenza. Alcuni dicevano che fosse solo il freddo della Dora Baltea, che risaliva dai greti irregolari del fiume; altri, più devoti, mormoravano il nome che nessuno voleva pronunciare. Il prevosto, uomo colto e prudente, sapeva bene che certi spiriti amano entrare dove tutto è perfetto, squadrato, ordinato. “Il Maligno non sopporta l’asimmetria”, diceva spesso, “perché lui stesso è lo specchio rotto dell’ordine divino”. E come recita un antico detto: “il diavolo si nasconde nei dettagli”. Fu così che, un giorno, ordinò che sopra il grande portone non fosse posta la solita finestra rettangolare — come volevano certe regole architettoniche — bensì una finestra ovale: senza spigoli, né angoli netti, né linee dritte. Gli venne anche un’idea singolare: non concludere la base dell’ovale, ma spezzarla, facendola appoggiare quadrata sull’architrave del portone. “Che follia!” dissero in molti. Ma da quel giorno le strane presenze cessarono, e il vento smise di ululare contro la facciata, forzando gli interstizi per entrare. Da allora, la finestra ovale sorveglia ancora l’ingresso, custode silenziosa di ciò che non ha forma. Di ciò che impauriva. Uno dei tanti anelli che ci àncorano al cielo, tenendoci aggrappati al Bene, a Dio.

Il brodo delle undici Traduzione e rielaborazione narrativa a partire da un testo del poeta valdostano Alcide Bochet (1802-1859), pubblicata sul giornale Feuille d’annonces d’Aoste , 15 febbraio 1844. La zona oggi nota come Les Fourches era, un tempo, luogo di esecuzioni pubbliche. L'autore, in premessa, si esprimeva più o meno così: " In uno dei vostri ultimi numeri, avete domandato cosa significhi le bouillon d’onze heures . Vi do la spiegazione sotto forma di leggenda in versi, a proposito di un’esecuzione capitale alle forche patibolari, in un’epoca molto antica, ma di cui le persone più anziane si ricordano ancora". Il brodo delle undici In un tempo traballante tra il XVIII e il XIX secolo, le undici di un certo sabato furono un’ora che i cittadini di Aosta non dimenticarono presto. Era il momento in cui due condannati venivano condotti fuori dalle celle, tra le preghiere sussurrate e lo scalpiccio degli stivali sul selciato. La destinazione era Les Fourches, poco fuori la città di Aosta, nella zona precollinare che ancora oggi porta quel nome. Lì, da tempo immemore, sorgevano le forche patibolari, e anche quando il legno fu rimosso, l’eco della corda rimase nell’aria. Quel giorno, però, qualcosa cambiò. Un medico — giovane e ostinato — si fece largo tra i presenti. Con passo fermo e occhio acuto, chiese una sospensione dell’esecuzione. «Fatemi esaminare i condannati. Potrei salvarli… o almeno dare loro una cura prima della fine.» I boia risero. I giudici tacquero. Ma lo lasciarono passare. Tastò il polso dei due uomini, guardò le labbra, poi si accigliò. «Sono freddi. Ma non di morte, bensì di febbre. Nessuna sanguisuga, nessuna tisana. Non li guarisce l’acqua di Courmayeur, né quella di Saint-Vincent. Non serve cataplasma, né salasso. Serve solo una cosa…» Sollevò il cappello, come per dichiarare un responso oracolare: “Presto, un b rodo”, disse. Un brodo d’onze heures! Onore alla tua scienza! Il tuo brodo li rianima. Ha potuto guarirli, per dare loro la conoscenza prima della loro dipartita. Ecco! Caro dottore, piangono, piangono poiché il tuo rimedio è vano: c’est le bouillon d’onze heures ... Nota storica L’espressione “ bouillon d’onze heures ” era diffusa in Francia almeno dal XVIII secolo e indicava, nel linguaggio popolare, l’ultimo pasto simbolico prima della morte. Secondo alcune fonti, deriverebbe dalla consuetudine dei Fratelli della Carità di somministrare, tra le 22 e le 23, un brodo caldo ai malati più gravi durante le veglie notturne. In certi casi, quel brodo veniva riservato a chi non avrebbe superato la notte, o, secondo interpretazioni più oscure, poteva contenere sostanze tossiche, o rappresentare, per i più fragili, un mezzo inconsapevole e fatale. Nel Dictionnaire universel français et latin di Trévoux (1771), si legge: P rendre un bouillon de onze heures : mourir . (1) La leggenda aostana del 1844 riprende questo tema, e lo trasforma in una narrazione ironica e malinconica, dove il brodo non salva, ma dona l’ultima, effimera conoscenza... (1) P. Bourrinet, C. Guyotjeannin, “Bouillon d’onze heures” , in Revue d’Histoire de la Pharmacie , 2005, n° 346, pp. 295–296.

Essere guida alpina in Valle d’Aosta: che fatica, nel 1855! Nel 1855, dodici uomini di Courmayeur si rivolsero al Consiglio provinciale di Aosta per ottenere, per dieci anni, la concessione esclusiva di fare da guide alpine ai viaggiatori desiderosi di salire al Monte Bianco da Courmayeur, lungo la via da loro scoperta nell’estate di quell’anno. Un evento destinato ad accrescere il flusso turistico nella zona, considerando che dal versante valdostano la vetta non era ancora stata raggiunta. (1) La richiesta fu discussa e accolta dal Consiglio aostano, poi trasmessa a quello Divisionale, (2) che la esaminò il 6 dicembre. Qualche consigliere, però, dichiarò che il Consiglio di Divisione doveva occuparsi degli interessi generali e non dei privilegi da concedere ai singoli; anzi, che tutti i privilegi andassero aboliti. Un giornale valdostano sottolineò come, nel caso in questione, si confondessero quei cosiddetti privilèges con qualcosa di negativo, di immeritato. In realtà, quella richiesta non era altro che il riconoscimento di una professionalità, paragonabile a un brevetto d’invenzione. (3) “Ora - annotava il giornale - non vediamo perché questi audaci e intrepidi esploratori della montagna, che, dopo ripetuti tentativi durati diversi anni, durante i quali tante volte hanno messo in gioco la loro vita, dopo sacrifici di tempo e denaro, e che hanno finalmente raggiunto il loro obiettivo scoprendo un passaggio che facilita e rende meno pericolosa la salita al Monte Bianco, ne pourraient pas s’assurer les profits qu’ils ont droit de retirer de leurs persévérantes recherches, et obtenir un privilège de guides, comme un industriel ou un mécanicien obtient un brevet d’invention, et un chercheur de minière, un droit d’exploitation? ”. La richiesta di Courmayeur fu rigettata, e il Consiglio approvò una risoluzione con cui si chiedeva al Governo di predisporre un preciso regolamento per le guide alpine. (4) Malgrado quelle difficoltà, è bene sapere che le guide di Courmayeur costituirono la Prima Società delle Guide costituitasi in Italia e seconda al mondo e che tale sodalizio è stata una delle prime strutture a promuovere e far conoscere la montagna ed in particolare l’alpinismo. Infatti, nel 1850, i precursori di un mestiere così nobile, si riunirono in società con lo scopo di concretizzare, mediante una struttura fissa e prestigiosa, un mestiere che era diventato il perno del turismo montano . (5) Una delle tante eccellenze e professionalità valdostane... che, come spesso accade, furono riconosciute solo dopo essere state ostacolate. Perché in fondo, quello che gli uomini di Courmayeur chiedevano non era un privilegio, ma il semplice diritto di esercitare con dignità un mestiere conquistato con fatica, rischio e conoscenza del territorio. A volte, pare che il vero privilegio sia riuscire a far valere la propria esperienza, senza doverla difendere da chi non la comprende. (1) A far data dal 1784 Jacques Bamat, assieme alla guida di Pré-Saint-Didier Jean-Laurent Jordaney, fece alcuni tentativi ricognitivi dalla zona di Chamonix, suo paese natale. Balmat fu il primo, insieme al concittadino Michel-Gabriel Paccard, a raggiungere la vetta l’8 agosto 1786. (2) In quegli anni la Valle d’Aosta formava una provincia piemontese chiamata Aosta. Le province di Aosta e di Ivrea costituivano insieme la Divisione d’Ivrea. (3) Feuille d’Aoste , 13 dicembre 1855. (4) Il 1° maggio 1852 il Senato aveva già approvato un regolamento per le guide di Chamonix. L’Indépendant , 10 maggio 1852. (5) http://www.guidecourmayeur.com/storia.php